Nelle valli del Re di Pietra esistono alcune cime che, seguendo opportuni sentieri, sono accessibili anche per un’escursionista normale come me. Il bello di queste alture, che superano di poco i tremila metri, è che sono delle vere e proprie piattaforme di osservazione privilegiata del grandioso scenario alpino in cui sono incastonate. Una di queste è il Viso Mozzo, ubicato in Alta Valle Po.
L’ascesa di questa montagna può essere abbinata ad una delle tappe del giro del Monviso, trovandosi per esempio a transitare dal Lago Grande di Viso arrivando dal rifugio Alpetto in direzione del rifugio Giacoletti. Trovarsi al Colle di Viso intorno all’ora di pranzo permette di effettuare la salita del Mozzo e di sopraggiungere successivamente al Giacoletti in tutta serenità prima che faccia buio. Insieme a due amici, io ci sono salita lo scorso agosto partendo direttamente da Pian del Re, luogo di nascita delle sorgenti del grande fiume, il Po. Mi ricordo che non c’era molto sole, ma la visibilità era buona ed i monti sgombri da nubi.

Percorrendo il classico sentiero per il Quintino Sella arrivavamo al primo dei laghi del Monviso, il limpido specchio del Fiorenza; Il fatto di trovarsi lì abbastanza presto e l’assenza di nuvole, ci regalavano un superbo riflesso del Re di Pietra e del Visolotto nelle sue acque.
Continuando a salire, in meno di un’ora guadagnavamo la conca del meraviglioso lago Chiaretto dal caratteristico e lattiginoso blu turchino, gemma fra le aspre rocce che severe dominavano il paesaggio. Rocce verdi, affascinanti per le loro sfumature cangianti al sole ma subdole, perché lisce e scivolose specie quando sono umide o bagnate. Rocce verdi simili alla pelle dei serpenti dunque, e come i serpenti lasciano traccia di sé con la loro muta, esse nel tempo hanno depositato nel Chiaretto sostanze minerali del loro splendido colore, creando un suggestivo connubio con questo lago.
Guardando verso il Monviso, notavo un piccolo puntino rosso spiccare a ridosso della severa parete nord: il bivacco Falchi-Villata, protagonista di un recente fatto che poteva trasformarsi in tragedia a causa del crollo di una grossa porzione del ghiacciaio pensile Coolidge.
Un sole pallido stentava a illuminare il profilo a becco del Viso Mozzo; senza troppa luce i colori delle montagne apparivano più cupi, incutendo un vago senso di inquietudine e nello stesso tempo di timore e rispetto in noi che ci avventuravamo in questo aspro scenario, piccoli ospiti al cospetto di silenti giganti di pietra.
Ci inerpicavamo su un’antica morena glaciale fino ad entrare in un pianeggiante vallone detritico, chiuso tra il Monviso ed il Viso Mozzo, e poi attraverso una pietraia di grossi blocchi, passando proprio alle pendici della parete del Re. Guardando le pareti rocciose che svettavano altissime così vicine a me, mi dimenticavo che di fatto stavo camminando sulle antiche lave del fondale di un oceano ormai scomparso, la Tetide.
Dopo un lungo percorso a saliscendi giungevamo al Colle di Viso. Poco oltre appariva il bel Lago Grande di Viso, opaco per la poca luce e, un po’ più lontano, il rifugio Quintino Sella con le sue persiane rosso acceso.
Eravamo arrivati al bivio per salire sul Viso Mozzo; guardando verso l’alto nella direzione indicata, una gigantesca e ripida pietraia punteggiata di gialli licheni ci sovrastava. Sugli sfasciumi, a zig-zag, vedevamo alcuni puntini colorati che si inerpicavano su per un sentiero appena visibile, contrassegnato da ometti di pietra.
Il sole stentava a scaldare, ma il cielo era privo di nubi foriere di pioggia. In più, pur essendo quasi l’una, il Monviso e la sua catena continuavano a essere perfettamente visibili grazie all’assenza di nebbia. Erano proprio le condizioni ideali per salire. La traccia era molto faticosa e ripida, ma ben battuta e priva di difficoltà oggettive. Rapidamente prendevamo quota e, rimirando le bellissime viste sul lago grande di Viso, in poco più di un’ora arrivavamo in vetta.
Ci attendeva una bella croce stilizzata che custodiva la statua della Madonna. Sotto, una targa dedicata al beato Piergiorgio Frassati, posta dalla diocesi di Saluzzo. Una decina di persone era già lì.
La vista dalla vetta era davvero molto estesa e appagante: verso Nord si riconosceva il vallone delle Traversette, via via più vicine si distinguevano tutte le vette della catena del Monviso, da Punta Venezia a Punta Gastaldi; guardando sullo strapiombo in basso, i laghi Fiorenza, Chiaretto, Lausetto e Superiore si vedevano tutti insieme, come delle gocce d’acqua nel mare di roccia ed erba. Alle nostre spalle lo sguardo si apriva sulla pianura per centinaia di chilometri, lasciandoci riconoscere Barge, il Mombracco, Paesana e, più lontano, la Rocca di Cavour. Se la giornata fosse stata ancora più limpida lo sguardo avrebbe potuto spaziare oltre. Da qui la montagna dominava la valle con una parete verticale simile alla prora di una nave pronta a salpare negli spazi infiniti. Verso Sud, oltre il Lago Grande di Viso, si scorgevano la Cima delle Lobbie e la Punta Michelis, mentre in lontananza si vedeva la corona delle Marittime.
Ma lo scenario più grandioso era quello che si offriva a distanza ravvicinata, dove il Monviso si stagliava imponente con tutta la rocciosa mole della sua facciata Est, insieme al suo alfiere Visolotto, che da questa prospettiva svettava in una forma di cono pressoché perfetta.
Le altre persone scendevano. Solo io ed i miei amici restavamo ancora in vetta, insieme ad un paio di corvi. Nessuna nube si frapponeva fra noi e la Montagna. Nel silenzio dei tremila metri di quota si poteva sentire il rombo inquietante delle pietre che venivano scaricate dal Passo delle Sagnette. Il profilo frastagliato della cresta sommitale metteva in luce dettagli di geometria rocciosa che parevano essere in precario equilibrio. Torrioni, fessure e speroni cingevano l’area della cima: la corona del Re di Pietra, sovrano incontrastato di questo superbo regno minerale, che pochi osano sfidare tentandone l’ascesa.

Affidavo i miei pensieri al libro di vetta ed iniziavo la discesa sulla stessa via della salita, seguendo i numerosi ometti di pietra. Il tempo era nel frattempo migliorato, aprendo squarci di azzurro fra le sottili nubi. Ora la luce del sole illuminava il panorama, e quando arrivavamo nuovamente al lago Chiaretto, il colore dell’acqua era così particolare e bello che, se fosse stato possibile, un pittore rinascimentale avrebbe desiderato intingervi il proprio pennello per dipingere esattamente con questa sfumatura il manto della Madonna.
Poco prima di arrivare al lago Fiorenza una timida salamandra nera di Lanza, specie endemica di queste zone, attraversava il sentiero.
Il lago aveva assunto adesso la sfumatura cristallina dello zaffiro, rendendo più calde le sagome riflesse del Monviso e del Visolotto. Sono quasi le sei: arrivavamo a Pian del Re in tempo per salire sull’ultima navetta che ci riportava a Pian della Regina. Stanca ma appagata dall’Assoluto che mi ha accompagnato ed avvolto in questa bella gita, ritornavo a casa.
Testo e immagini di Elena Cischino, tutti i diritti sono riservati
Wow, complimenti…ho letto un attimo di poesia. Ieri abbiamo fatto questa vetta con una mia amica (il suo primo 3000) e questa descrizione ci ha arricchito di moltissime informazioni su dubbi che ci eravamo posti. Ha reso più bello il nostro giro di ieri, grazie.
Sono davvero rimasto affascinato dalla tua ricchezza sia tecnica sia artistica. Ma che tipo di ingegneria hai fatto?