
Muoversi in montagna è senza dubbio una delle più belle attività che si possono compiere nel tempo libero perché, oltre a fare esercizio fisico, si ha l’occasione di conoscere luoghi meravigliosi, di godere della natura e della sua capacità terapeutica e di visitare ambienti incontaminati, divertendosi in modo sano pur faticando un pochino. Inoltre la fatica è la migliore medicina per l’uomo moderno: il raggiungimento di una meta genera sempre un rilascio di endorfine che creano connessione con l’ambiente, ed è quindi inevitabile per l’appassionato vivere il desiderio di ripetere l’esperienza, riprovare quelle soddisfazioni, riattivare le motivazioni più profonde nell’affrontare l’escursione successiva. Tuttavia, essere sempre coscienti delle proprie capacità e delle proprie forze, è il segreto per far sì che una bella escursione rimanga tale, rammentando che essa non è una sorta di impresa di cui vantarsi tra amici, bensì un’esperienza di benessere e divertimento. Camminare in montagna è un’attività che richiede conoscenza, esperienza, preparazione, capacità di valutazione, equipaggiamento adeguato e soprattutto prudenza, molta prudenza. Fu scritto che la montagna ci appartiene solo quando siamo tornati a valle, perché prima apparteniamo noi alla montagna. Chi ama la montagna sa che essa non perdona chi non la rispetta, chi la sottovaluta, chi non la vive con umiltà o non la sa ascoltare. Un approccio che tenga conto di tutto questo è il presupposto per trascorrere una giornata in totale sicurezza e per non incorrere in pericoli. Purtroppo si assiste sempre più spesso ad una sorta di ingenuità, o meglio superficialità diffusa che porta molti a pensare che andare in montagna sia possibile a tutti senza preparazione fisica, tecnica e mentale. Le statistiche rivelano che la stragrande maggioranza degli infortuni sulle vette sono causati non da ardue scalate ma da banali scivolamenti sui pendii. Troppe volte mi è capitato di incrociare sui sentieri persone abbigliate con tutine da palestra, scarpette da ginnastica ed un minuscolo zainetto in spalla, nell’atto di salire mentre io, essendo metà pomeriggio, già scendevo. Le escursioni in montagna vanno pianificate bene, tenendo presenti due concetti fondamentali: difficoltà e lunghezza dell’itinerario. Il primo è funzione della nostra esperienza, il secondo del nostro allenamento. E poi è preferibile non avventurarsi mai da soli. Calcolare male i tempi e sopravvalutare la propria forma fisica possono causare inconvenienti che, se mal gestiti, degenerano in veri e propri problemi. Banalmente, il sopraggiungere del buio può trasformare un ambiente ameno con la luce del giorno in un luogo ostile. L’oscurità, la solitudine e la stanchezza amplificano le nostre paure e possono farci compiere azioni guidate dall’irrazionale, compromettendo la nostra sicurezza. In questa situazione, una semplice storta può essere fatale: soli, magari verso sera, senza possibilità di chiamare i soccorsi perché il nostro telefono non ha segnale, ci troviamo nella spiacevole circostanza di fare i conti con la nostra avventatezza, immersi in uno scenario severo del quale siamo alla completa mercé. Passare la notte, soprattutto se non adeguatamente attrezzati, può diventare una vera questione di sopravvivenza per arrivare a vedere una nuova alba, e sperare quindi di incontrare qualcuno che ci aiuti. Queste parole non vogliono scoraggiare l’escursionismo in montagna, bensì sensibilizzare chi ama quest’attività a informarsi prima di muoversi, e a non spegnere mai il proprio cervello. Personalmente, se non mi muovo in gruppi coordinati da un professionista della montagna, impiego almeno una settimana a pianificare un itinerario, perché mi documento su pubblicazioni accreditate, guardo la cartina e mi soffermo con attenzione sulle curve di livello che devo potenzialmente attraversare, per non sottovalutare la difficoltà del percorso. Poi mi confronto con gli amici che camminano con me e spesso chiedo consiglio a chi fa della montagna il proprio mestiere. Infine consulto più siti di previsioni meteorologiche fino al giorno prima della partenza. Nel mio zaino non mancano mai il guscio antipioggia ed i pantavento, un cambio completo, una giacca pesante ed un gilet termico, il cappello, gli occhiali da sole e la crema solare (ma come ci si veste per una ciaspolata?). Guanti e thermos di the caldo mi accompagnano anche nelle escursioni estive, perché alla partenza la temperatura è gradevole ma dai duemila metri in su può calare in maniera brusca, ed i venti in quota intensificano notevolmente la percezione del freddo. Un kit di pronto soccorso, la lampada frontale, un fischietto ed il coltellino milleusi sono sempre con me durante una gita, così come un paio di lacci per scarponi. Mi è infatti capitato di vedere persone che, indossando scarponi vecchi o usati pochissimo in proporzione agli anni di permanenza nell’armadio, si sono trovate con la suola separata dal resto della calzatura ma, grazie ad un paio di lacci provvidenzialmente forniti da qualcuno, sono riuscite a riassemblare alla bell’e meglio i propri scarponi e finire l’itinerario, pur con i dovuti rallentamenti del caso. La giusta quantità di acqua e di cibo completano il contenuto del mio zaino che è sì voluminoso, ma non pesante, per evitare di trasformare l’escursione in una via crucis. Sul sentiero e soprattutto sulla pietraia non perdo mai di vista gli ometti ed i segnavia rossi e bianchi, e cerco altri punti di riferimento: nelle nostre belle valli, soprattutto in valle Po, la nebbia è quasi sempre una costante ad una certa ora, ed il rischio di disorientarsi e girare in tondo non va mai dimenticato. Sulle pietraie mi muovo in modo da non scaricare sassi addosso a chi viene dietro di me, e tengo una debita distanza da chi sta davanti. Se sto scendendo, cedo il passo a chi sale. Cerco di tenere un’andatura costante e non dimentico che devo anche tornare indietro: in alcuni casi ho rinunciato alla meta iniziale accorciando l’itinerario perché una pausa più lunga o la stanchezza mi avevano eccessivamente rallentata, ed ho in seguito ripetuto o leggermente modificato il percorso per riprovare a raggiungere l’obiettivo imparando dall’esperienza precedente. Infatti nei luoghi si può sempre ritornare perché, a differenza di noi, sono lì da decine di migliaia di anni e per altrettante lo saranno ancora. Durante le escursioni invernali sulla neve, come ad esempio quelle con le ciaspole, occorre avere anche altri tipi di accortezza. La neve modifica sensibilmente il paesaggio e ci fa procedere più lentamente in giornate che sono più brevi. E’ dunque impensabile affrontare negli stessi tempi gli itinerari delle camminate estive. Sono poi da evitare le pendenze eccessive, sopra i trenta gradi, in quanto soggette al rischio di slavine e valanghe. In ogni stagione e contesto è bene sempre ricordare che in montagna non siamo i padroni di casa, ma gli ospiti, perciò dobbiamo rispettare chi ci accoglie, osservando le sue regole.

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