Una delle capacità più affascinanti del bosco, è quella di riuscire ad accoglierci sempre, rappresentando un porto sicuro in cui rifugiarci tutte le volte che lo vogliamo. I boschi non chiedono “chi è”, la loro porta è sempre aperta. Non guardano come siamo vestiti, che lavoro abbiamo e chi siamo. I boschi non fanno domande. Al massimo ci danno delle risposte. Quando entriamo in un bosco, il costante stato di “allarme” in cui viviamo, si arresta. Possiamo ascoltare finalmente il nostro silenzio e iniziare un viaggio dentro di noi, oppure ascoltare ciò che il bosco ha da raccontarci attraverso i rumori della natura. Non importa quale strada decideremo di prendere: il bosco non giudicherà.
Sommersi come siamo durante il giorno dal rumore dentro e fuori di noi, il silenzio è qualcosa che non conosciamo bene. Quando inciampiamo nel silenzio, alcuni non sanno come comportarsi e lo evitano come qualcosa di spaventoso da cui fuggire, una sorta di “horror vacui” moderno. In realtà il silenzio è tutt’altro che vuoto perché è ricco di risposte. Ricercare il silenzio non vuol dire rifiutare il mondo e voltagli le spalle, ma vuol dire concederci il lusso di osservare e ascoltare finalmente soltanto noi stessi e i nostri suoni interiori, che nel caos quotidiano rimangono sopiti. È soltanto nel silenzio che possiamo cercare di acquisire più consapevolezza di noi stessi e di quello che proviamo, accettando in modo non giudicante tutto ciò che scopriremo, lasciando parlare il silenzio dentro e fuori di noi.
In alternativa, possiamo utilizzare il silenzio del bosco per smettere di pensare e per liberare la mente, l’anima e il cuore dai pesi che a volte ci portiamo dietro. Nel bosco il fardello del quotidiano non serve. Per stare bene in mezzo alla natura, servono poche cose ed essenziali.
I boschi, e in più in generale la natura, possono davvero avere una funzione terapeutica.
Nel 2005 il giornalista e scrittore Richard Louv, all’interno del suo libro “L’ultimo bambino nei boschi”, ha coniato il termine “Disturbo da deficit di natura”, per indicare la correlazione tra l’insorgenza di alcune patologie in età infantile come obesità, depressione, ansia, deficit dell’attenzione, e la mancanza di contatto con la natura causato dalla prevalenza di spazi urbanizzati nei confronti della natura, dalla sempre più forte interconnessione della vita reale con gli strumenti tecnologici e dalla tendenza moderna di tenere i bambini lontano dagli spazi verdi e naturali.
Sebbene nella pratica, il “Disturbo da deficit di natura” non sia attualmente inserito all’interno del DSM-5 (“Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, ovvero il manuale mondialmente riconosciuto come l’unica e accertata raccolta di tutti i disturbi mentali), e quindi non venga riconosciuto formalmente come una patologia ufficiale, in realtà ha svolto la funzione di “apri pista” per avviare il dibattito scientifico riguardo la correlazione tra benessere mentale e contatto con la natura.
Nel corso degli anni, questo dibattito ha indubbiamente portato ad una maggiore sensibilizzazione all’importanza della connessione con la natura nella vita di adulti e bambini, la quale può anche rivelarsi il punto di partenza per educare i grandi di oggi e di domani, ad avere cura e rispetto dell’ambiente naturale. Avvicinandosi alla natura e imparando a conoscerla, è più facile che nasca il senso di appartenenza alla dimensione naturale, portando quindi le persone ad avere una maggiore attenzione all’ambiente e alla diffusione più capillare di una coscienza ambientale.
Educare piccoli e grandi a vivere la natura, conoscerla e soprattutto rispettarla, oltre a fare bene dal punto di vista mentale e fisico, può rivelarsi benefico anche l’ambiente stesso, che sicuramente gioverebbe nell’essere circondato da una comunità più attenta e consapevole.
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