Nessun posto resta uguale a se stesso. Cambiano le stagioni, la notte cede il passo al giorno, la pioggia al sole, il sole alla neve, le nubi alle stelle… Passano gli anni e gli alberi crescono, i terreni si assestano e la natura a poco a poco si impossessa di quel che resta delle antiche costruzioni degli uomini, siano esse abitazioni, vie, testimonianze incise sulle pietre, ora celandole ora scoprendole. Per chi percorre i sentieri in modo lento e con le proprie forze, a piedi o con le ciaspole, i medesimi luoghi in condizioni ambientali differenti sanno regalare emozioni nuove, perché c’è il tempo di scoprire ed assaporare i particolari più nascosti, o riconoscere dettagli già noti ma modificati dal contesto. E soprattutto c’è il tempo di entrare in sintonia con l’anima – quella sì immutabile – del luogo, che conferisce sicurezza al passo di chi lo esplora invogliandolo ad apprezzarne tutte le sue mutevoli sfaccettature. Nel mio caso, la magia dell’abbondante neve fresca e le suggestioni della luna piena mi hanno fatta ritornare con piacere sul Mombracco, dove avevo fatto non molto tempo fa un’escursione notturna. Una notte ed un giorno qui sul monte di Leonardo insieme ad un piacevole gruppo di persone ed alla guida Marco, un grande professionista, oltre che ovviamente ai “registi” Marco, Silvia e Francesco, tutti quanti ospitati dal gioviale e genuino Fabio e “adottati” dal suo irrefrenabile ed irresistibile cane Zagor. Trascorrere qui gli unici due giorni con un meteo buono incastonati fra giornate gelide ed instabili è già di per sé una grande fortuna. Ritagliarsi opportunità uniche di contatto con la natura, oltre alle gite, ed imparare cose nuove è un privilegio. La notte si alterna con il giorno, ma prima della notte ci sono il tramonto, l’ora blu ed il crepuscolo, e prima del giorno ci sono l’alba e l’aurora. Poi la notte senza nuvole non è mai del tutto buia, perché nel cielo si rivelano miliardi di stelle, i pianeti, la Via Lattea. E poi c’è lei. Ciclicamente, da quando esiste l’Universo, puntuale si ripresenta. La luna piena, con la sua misteriosa ed affascinante luce riflessa. L’alter ego del Sole, capace di rassicurare i viandanti con la sua presenza in mezzo alle tenebre, e di moltiplicare il suo bagliore nel candore della neve, diffondendolo tutt’intorno. La luna e la neve, un connubio quasi mistico nelle escursioni invernali. E’ sera ed il sole scende dietro alla catena del Monviso. Le ultime nuvole si tingono dapprima di giallo e poi di rosa, quindi il cielo vira su un colore blu profondo e mano a mano cala l’oscurità. La sagoma del Re di Pietra e dei suoi satelliti si staglia un po’ più scura, fino a quando i bagliori del crepuscolo non cedono definitivamente il passo alla notte, inghiottendola. E’ questo il momento in cui partiamo in direzione della grande croce di Envie, situata sulla punta più alta del Mombracco, a 1307 metri di quota. Ci muoviamo salendo attraverso suggestivi boschi di faggi, castagni e betulle. A breve accendiamo le nostre pile frontali, perché il buio è sovrano e la luna ancora non si è levata. La salita è impegnativa, perché di fatto dobbiamo batterci la pista sulla neve appena caduta, ma il ritmo lento che le ciaspole ed il tipo di percorso impongono, non impedisce di parlare con i compagni di escursione e di commentare ammirati il paesaggio in cui si è immersi. Giungiamo ad una prima spianata fuori dal bosco e spegniamo le nostre luci. Sopra di noi lo splendore siderale delle stelle, ben visibile per via dello scarso inquinamento luminoso. Guidati da Marco, proviamo a riconoscere le costellazioni e gli astri: la Stella Polare, Sirio, Aldebaran, le Pleiadi,
Orione… Miriadi di disegni immaginari sopra le nostre teste, già tracciati dagli antichi in tutta la storia dell’umanità, si materializzano facendoci individuare valorosi guerrieri e figure mitologiche. Arrivati quasi alla nostra meta, scorgiamo ora una luce più intensa: è la luna. Subito lo scenario cambia. Mano a mano che lei si alza, gradatamente la neve sulle montagne si accende, rivelandone i profili e l’identità. Le luci frontali diventano ormai superflue. Siamo alla croce di Envie, purtroppo spenta. La sua grande sagoma si intuisce sotto la luce della luna, ancora bassa, mentre sulla pianura sottostante, un po’ velata dalla foschia, si stemperano le luci artificiali dei paesi e delle città. Il simbolo di vetta, la neve e la luna conferiscono un senso di sacralità al luogo, che sembra situato al di fuori dello spazio e del tempo, ipnotizzandoci. Sono tante le foto che scattiamo prima di ridiscendere sul medesimo sentiero. E’ difficile venire via da qui. I robusti cavi d’acciaio che assicurano saldamente la croce sembrano collegare i nostri pensieri più reconditi alla sua sommità, per liberarli e portarli in alto verso la luna, oppure trasformarli in polvere di stelle. Ciascuno di noi potrebbe immedesimarsi in quella croce, così ancorata al terreno ma nello stesso tempo protesa verso il cielo e l’infinito. Con un senso di pace prendiamo la via del ritorno. La millenaria certosa della Trappa con la sua unica lucina accesa, il suo albero solitario e spoglio e la luna piena creano una poetica cartolina, ultima immagine della gita prima di sederci a tavola per la cena, felici e soddisfatti, con la mente e il cuore pieni di ricordi speciali. Il fedele Zagor ci ha tenuto compagnia correndo su e giù per la neve. Il suo padrone Fabio ci ristora con
abbondanti piatti di gnocchi serviti in tutte le fogge. E’ molto tardi. Domani ci aspetta un nuovo itinerario, ed io ho in mente di svegliarmi presto per godermi il sorgere del sole ed il tramontare della luna. Andiamo a dormire nella camerata ben protetti da coltri di trapunte. Il giorno dopo di buon’ora mi vesto senza far rumore e mi infilo le ciaspole. Ci siamo solo io e l’immancabile Zagor. Il disco del sole si leva rosso dall’orizzonte diffondendo nel cielo calde tonalità di rosa, giallo ed arancione, che si riflettono su un tappeto di spesse nubi che occulta la pianura e le sue città. Siamo in montagna, ma questo scenario assomiglia ad uno sconfinato mare metaforico. La certosa della Trappa appare minuscola ed a picco su un impervio promontorio di falesie che si erge sopra questa distesa. Batuffoli di neve ornano gli alberi che incorniciano la piccola chiesetta del Mombracco. Da lontano, come un miraggio, si scorge la sommità della collina del Superga. Mano a mano che il sole si alza, le montagne di fronte ad esso si tingono progressivamente di rosa. La catena del Monviso si accende via via, partendo dalla Meidassa. La luna è ancora abbastanza alta, ma fra un po’ tramonterà proprio dietro al Re di Pietra. Aspetto con pazienza questo istante, muovendomi sulle ciaspole nel cortile della certosa, ricoperto da un buon metro di neve incontaminata, violata solo dalla mia traccia e da quella antecedente di un capriolo. A poco a poco il pallido disco si muove diagonalmente verso la punta del Monviso. Da questa prospettiva, la sua cima principale ed il Dado sono separate da un solco, tanto che il profilo della sommità della montagna assomiglia ad un vorace squalo nell’atto di schiudere le sue fauci. Ed arriva un istante in cui la luna è proprio diretta verso questa fantasiosa bocca: da lì a breve la regina della notte sparirà dietro il Gigante delle Cozie. Sono felice di aver assistito in un contesto così bello a due fenomeni naturali che si ripetono ogni giorno da sempre, ma che sono ogni volta diversi e proprio per questo non finiscono mai di stupirmi, nè mi stanco di ammirarli. Arricchita da questa bella esperienza, mi ricongiungo al gruppo che si accinge a fare colazione. Fra poco si riparte per la stessa via di ieri sera per proseguire ancora il percorso su altre tracce. Con la luce del sole l’itinerario evidenzia la bellezza dei tronchi degli alberi: i grigi e lisci faggi e le bianche e marezzate betulle. Nessuna impronta incrocia il nostro cammino: gli animali sono ben nascosti per non sprecare energie dopo una nevicata così abbondante. Tuttavia la primavera è alle porte: numerose gemme adornano i rami, ed i
noccioli hanno già rilasciato il loro giallo polline sulla neve. La nebbia che ricopre la pianura apre qua e là uno spiraglio facendo apparire porzioni di paesi. Di giorno la croce di Envie sembra la polena di una mastodontica nave che fende l’oceano di bianche nubi intorno a sé, ben attenta a non cozzare contro gli scogli trasfigurati nelle montagne vicine. Ce la lasciamo alle spalle, scorgendola ancora da lontano fra i tronchi delle numerose betulle e proseguiamo fino ad un gruppetto di baite disabitate. La vista sul Monviso e sulla sottostante croce di Sanfront, avvolta nelle nebbie, sono impagabili e fanno da sfondo al nostro pranzo. Ritorniamo. Alcuni di noi scelgono di correre in discesa sulla neve, altri si incamminano sul sentiero dell’andata. Sono ormai le quattro. Il buon Fabio ci aspetta per la merenda. Il suo cane Zagor ci ha immancabilmente accompagnati correndo avanti ed indietro lungo tutto il nostro itinerario e saltando festoso per acchiappare le palle di neve che gli tiravamo per farlo giocare. Ancora una volta la natura ci ha arricchiti, insegnandoci che le cose apparentemente più ovvie perché si ripetono tutti i giorni, o perché sono sempre lì, possono sempre stupirci con i loro dettagli ogni volta inediti. Basta volerli osservare.
Le immagini senza logo sono di Elena Cischino, tutti i diritti sono riservati.
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