La notte in inverno è un film in bianco e nero. Il bianco della neve, il nero del cielo. Ma se c’è la luna nulla è così netto e definitivo. Il suo disco pallido è come un faro che si apre nella volta celeste, un faro schermato da un impalpabile foulard per non abbagliare, ma lambire dolcemente il paesaggio, rivelandone dettagli che scontornano le proprie sagome come accade vicino alle fiammelle tremolanti di tante candele. Allora il bianco ed il nero sfumano in infinite tonalità intermedie, perché la luna è un abbraccio morbido e la neve ne acuisce la bellezza argentea illuminandosi, in un connubio che solo l’inverno rende possibile. Passeggiare sulla neve in una notte di luna piena, muovendosi con l’aiuto di bagliori e riflessi creati dalla natura che rendono superflue le pile frontali, ci dà la fiducia che tutto si possa fare. Oltre cinque passi ricade l’oscurità, ma quei cinque passi sono abbastanza per invitarci a procedere con la consapevolezza che più in là ce ne saranno altri cinque, e poi cinque ancora fino alla meta. Intuire la via sapendo di fare la cosa giusta pur non vedendola completamente, ma sentendola e basta, lasciar fluire i passi sulla breve scia baluginante senza sapere cosa c’è più in là, diventa per una sera il sufficiente necessario, rammentandoci che il mistero è parte della vita e non ci impedisce di viverla. In alcuni casi la luna piena può diventare ancora più speciale: si è tanto parlato della superluna dello scorso trentun gennaio. La luna dell’eclissi totale per chi vive nell’altro emisfero, la luna nella posizione più vicina alla Terra, la seconda luna piena del mese, anche per questo chiamata blue moon dagli inglesi, quasi a sottolineare la rarità dell’evento. Ho atteso il suo sorgere con tre amici lungo il sentiero per il monte Tivoli, all’altezza delle meire Tirolo . Immaginavo di vederne apparire il disco dietro le baite, più grande perché ancora vicino all’orizzonte, e poi proseguire il cammino verso la cima guidata dalla sua luce riflessa. Ma il cielo era coperto ed illuminato solo a sprazzi dal balenare del tramonto schermato dalle nubi. In questa delusione, un regalo insperato: il Monviso trasfigurato dietro un velo violetto in quella che doveva essere l’ora blu, proprio a far da sfondo alle vecchie meire. Solo un attimo, un fugace istante in cui anche la neve rifletteva la stessa tonalità del cielo. Dopo, le nubi si riappropriavano del Re di Pietra, così come avevano già fatto con la luna nascente. L’oscurità non era ancora calata, ma nelle borgate dell’alta valle si accendevano le prime luci della sera. Puntini gialli in un grande scenario bianco e nero. Piccoli presepi che accompagnavano il nostro andare con la neve che scricchiolava sotto le ciastre. Era quindi sceso il buio, un buio senza luna, interrotto solo dai puntini delle nostre pile frontali che alteravano la natura con la loro artificialità insieme a quella dei nostri passi di plastica e metallo che scalfivano la neve. Qua e là ancora resti di abitazioni. Poi un po’ di bosco, quindi la salita verso la cima per la via di massima pendenza. Poi accadeva qualcosa: la luna appariva aprendo un cerchio nel cielo, e pareva che lui, assonnato, ci osservasse pigramente da questo occhio tondo, bianco ed incredibilmente brillante mentre, finalmente, dagli alpeggi innevati, la croce di vetta del Tivoli emergeva dall’ombra proprio di fronte a noi. Il tempo di una foto e la luna si celava nuovamente, restituendo il dominio all’oscurità che nascondeva ancora una volta la croce.
L’aria si era fatta più fredda, ed era tempo di scendere per la stessa via di salita. Giunti fra il bosco e le meire, la luna si riapriva un varco, occhieggiando fra gli alberi del bosco, resistendo questa volta immobile nella volta celeste. Spente le lampadine, a poco a poco gli occhi si abituavano all’oscurità. Le ombre degli alberi alti rigavano la coltre candida, e gli stessi alberi tracciavano vie verticali verso il cielo con la loro corteccia che emergeva dallo scuro sfondo. Le impronte di animali ricamavano la neve sfuggendo in prospettiva alla nostra vista e ruderi di baite macchiavano il suolo bianco con la loro silenziosa testimonianza della presenza umana che qui un tempo fu. Tutto questo è stato come vivere un sogno in una notte nel cuore dell’inverno. Perché la luce riflessa della luna, potente ed immutabile da un’eternità ogni volta che il disco appare nella sua interezza, è l’indiscussa regina dal crepuscolo all’alba, quando le cose reali trasfigurano nell’onirico e tutto può accadere.
Testo ed immagini di Elena Cischino, tutti i diritti sono riservati.
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