Le transizioni stagionali hanno un loro fascino particolare, al pari dei mezzi toni che raccordano con delicatezza colori differenti in un dipinto. Solo in questi particolari momenti la neve convive con il foliàge autunnale e la nebbia si contende la scena con il sole. Essere in alto, ma non troppo, è il segreto per cogliere questa suggestiva veste ed entrare in sintonia con essa. Su per i boschi sopra il piccolo borgo di Calcinere, salendo fino alla chiesetta di santa Lucia, sotto una leggera nevicata, tagliando il sentiero maestro fra alberi secolari e silenziose radure punteggiate da vecchie baite disabitate. Il rosso di castagni e querce e il giallo di betulle e faggi si sposano con il bianco della neve, per poi venire lambiti ed infine ghermiti dalle nebbie, fino a riapparire vividi con i raggi di sole del giorno che sta tramontando. Mi piace questa stagione, e ancor di più mi piace sedermi sotto agli alberi ed osservarne dal basso le chiome, perché da questa posizione le foglie sembrano fatte di carta velina e lasciano passare la luce che ne mette in evidenza le nervature. Chiudo gli occhi e accarezzo il tappeto di foglie secche già a terra, facendole scrocchiare fra le mani, aspettando che un soffio di vento faccia cadere su di me una pioggia leggera di altre foglie. Poi guardo i rami, protesi come braccia ciclopiche verso il cielo, ed i tronchi ornati da muschi, funghi e licheni. Ogni albero ha un suo proprio aspetto, una sua fisionomia, al pari degli esseri umani. Ogni corteccia trasmette una speciale sensazione per il suo colore, il suo odore e la sua consistenza al tatto. Ma c’è un albero che amo in
particolare, e che dà il meglio di sé proprio adesso: la betulla. Alta, slanciata, leggiadra, con una corteccia il cui biancore richiama la luna e la sua luminosità argentea, e la neve con il suo ovattato candore. Bianche betulle nella bianca neve. Tronchi pallidi che si nascondono nelle sottili nebbie che ne rapiscono la vista avvolgendoli col loro diafano manto. Piccole e tonde foglie giallo oro che piovono sottili insieme agli esili fiocchi di neve come coriandoli di un etereo carnevale un po’ fanée. La betulla mi piace perché è l’albero degli inizi, coraggioso in quanto capace di nascere e crescere anche in terreni poco favorevoli, fertilizzandoli e preparandoli per la nascita di altre specie di piante. Resiliente, perché in pieno inverno il suo legno flessibile si incurva sotto il peso della neve senza spezzarsi. In tutto questo la betulla è donna. In senso lato essa incarna lo spirito di Madre Natura, perché rende fertile la terra ancora nuda e traccia il sentiero della vita, e quando è completamente spoglia, la sua veste bianca sembra unire il pallido cielo alle profondità della terra rivestita da una candida coperta. Tre sfumature di bianco che si stemperano insieme, emanando bagliori argentei nelle notti di plenilunio che incantano i boschi. Salendo su nei boschi gruppi di betulle si elevano tra i ciuffi di felci ormai rossi e appesantiti dalla neve. Ragnatele congelate pendono dai loro sottili rami. Scorci su alberi lontani ancora carichi di foglie si rivelano attraverso le geometrie dei loro tronchi. La nebbia che via via si infittisce cela il bianco delle loro cortecce lasciandone intravedere soltanto le striature grigie. Poi il paesaggio si fa improvvisamente brullo e costellato di enormi e lisci monoliti di roccia. La nebbia si addensa nuovamente creando un’atmosfera surreale. Impronte di lupo attraversano il sentiero seguendo decise traiettorie fra i massi, intersecando tracce di volpe. Il
silenzio diventa quasi inquietante nell’attesa di intravedere fra le brume e le pietre il predatore dei boschi. La minuscola chiesetta di santa Lucia si manifesta come un miraggio, fiancheggiata da un gruppo di alberi spogli e spettrali. Fa molto freddo, e la sensazione di essere osservati dai lupi è un’emozione indescrivibile. Durante la discesa, le nebbie pian piano si dissolvono, liberando il cielo proprio quando uno stormo di gru in migrazione sta passando. Addirittura esce il sole, accendendo i caldi colori dell’autunno e dissolvendo quasi tutta la neve caduta fino a poco prima. Solo qualche fungo rimane ancora ricoperto da uno straterello bianco. Il Monviso, rimasto nascosto fino a questo momento, emerge maestoso proprio sopra l’abitato di Calcinere. Ridiscendendo a valle, la luna mi accompagna grande e rosata emergendo dalla mole massiccia del Mombracco.
Testo di Elena Cischino. Tutti i diritti sono riservati.
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