Passeggiando lungo i sentieri che salgono sul Monte Bracco, sia che si parta da Barge che da Paesana, si incrociano paline segnaletiche indicante il Mombracco, spesso il toponimo viene così contratto, come “La Montagna di Leonardo”.
Forse definirla come la montagna del Genio Rinascimentale sa un po’ di forzatura. Una frase del genere presuppone una lunga frequentazione oppure un rapporto privilegiato. Così non è stato. Vero è che il Leonardo nel 1511, probabilmente di passaggio verso la Francia, lo menziona a proposito di quella che è la pietra simbolo del monte, la Quarzite, micace comunemente conosciuta con il nome di “Bargiolina” dal nome del versante dal quale inizialmente incominciò l’attività estrattiva del minerale, in seguito verranno aperte delle cave anche verso Sanfront.
Leonardo ne tesse le lodi definendola pietra estremamente dura, bianca e pura quanto il marmo di Carrara e ce ne tramanda un reale interessamento, annotando nelle sue immancabili trascrizioni la possibilità di farsene dare un po’ da un suo collega sculture abitante in zona. Quando Leonardo passa nei pressi di quello che chiama il Monbracho, la Bargiolina ha alle spalle oramai secoli di uso e relativo apprezzamento in capo edile. I marchesi di Saluzzo ne hanno fatto incetta per pavimentare i propri palazzi, in particolare di quello rosa decisamente più pregiato del cugino povero, il grigio.
L’attività estrattiva ha garantito per anni agli abitanti della zona, prevalentemente residenti alle pendici del monte, una fonte di reddito regolare e per una cultura prevalentemente contadina la quale andava poco oltre la sussistenza, non è cosa da poco. Se pensiamo che nel 1930, quando l’industriale svizzero Richard Hess decide di investire i propri capitali nell’estrazione del prezioso minerale, saranno ben 350 le maestranze che lavoreranno in cava senza considerare coloro che operano per quello che oggi definiremmo l’indotto. Il legame che da sempre lega il Monte Bracco agli abitanti del posto ci viene confermato dal numero di incisioni rupestri risalenti al neolitico e dai resti dei successivi insediamenti abitativi. Un legame fatto anche di rispetto, di timore. Ancora oggi non di rado sentiamo affermare, a mo’ di leggenda che il Monte è un antico vulcano mai completamente spento, prova ne è la velocità con la quale in inverno la neve si scioglie dalla sua cima, mentre è ancora ben presente in pianura. L’ipotesi, benché suggestiva è del tutto priva di fondamenta scientifici, il fatto che la neve sia soggetta ad una maggior velocità di scioglimento è dovuto esclusivamente all’esposizione favorevole oltre che ad un microclima mite che comunque nulla ha a che vedere con magma ed eruzioni!
Ma torniamo a Leonardo, saranno ben quattro i viaggi che il maestro intraprenderà verso la fine della sua lunga carriera per recarsi oltralpe, sede della sua ultima dimora. Ciò lascia presupporre un itinerario attraverso il Piemonte, alcuni storici si spingono a dire che potrebbe aver attraversato anche a dorso di mulo il Buco di Viso, perché no, ci piace immaginare il maestro oramai vecchio incamminarsi verso il colle delle Traversette. L’ipotesi non è confutata da nessun tipo di carteggio ma è comunque ipotizzabile conoscendo la curiosità di Leonardo da Vinci per tutto ciò che vi era di nuovo e presupponeva abilità tecniche nella realizzazione, in questo caso ci riferiamo al primo traforo delle Alpi. Per nulla improbabile invece è che terminando la preziosa Monna Lisa del Giocondo, proprio durante i suoi passaggi nel marchesato, Leonardo entrato oramai in possesso della preziosa quarzite l’abbia tritata per poi mescolarla ai color della sua tavolozza contribuendo a rendere ancora più emblematico il sorriso più conosciuto della storia dell’arte.
Testo: Andrea Arnoldi – Accompagnatore naturalistico MonvisoPiemonte
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