Alla fine della seconda giornata di cammino ci troviamo al rifugio Giacoletti, incastonato alla base di Punta Udine con una vista stupenda sul Re di Pietra. Al nostro arrivo tutto era offuscato dalla tipica nebbia della Valle Po…
Terzo giorno
La mattina successiva mi alzo nuovamente alle sei: l’idea mia e di pochi altri è quella di salire sulle Rocce Alte del Losas con le pile frontali, per poi aspettare l’alba. Una manata sul vetro toglie la condensa rivelando un panorama terso e la sagoma maestosa del Monviso, illuminata dalla luce della luna. Fa veramente freddo e c’è vento, ma nulla ci distoglie dal nostro obiettivo ed iniziamo a salire. Uno stambecco ci osserva curioso con i suoi occhi rotondi illuminati dalle nostre pile. L’umidità rende un po’ più difficile la salita sul tratto terminale del Losas, ma veniamo ripagati dallo splendido panorama: Pian del Re e Crissolo si distinguono nella foschia a valle, i laghi Lausetto e Superiore appaiono sotto di noi, mentre Punta Udine, il Monviso ed il Viso Mozzo si illuminano fino a diventare rosa man mano che il sole inizia a salire. La luna, ancora grande, inizia a nascondersi dietro i profili delle cime. Il rifugio Giacoletti, con le sue persiane gialle, è un minuscolo segno di presenza umana in mezzo a questo regno di roccia. La Meidassa ed il Granero emergono dietro di noi con i loro profili triangolari. Il vento sferza i nostri volti, ma non riesce a scalfire la nostra felicità di essere lì in quel momento, protesi a contemplare la vastità del Tutto intorno a noi. Scendiamo, e arrivati di fronte al rifugio un altro regalo ci attende: un cucciolo di stambecco ci osserva prima di raggiungere la mamma ed il fratello (o sorella?) più grande. Riuniti, tutti e tre sembrano calamitati come noi dalla mole del Re di Pietra. E’ un bel momento che decidiamo di goderci prima di fare colazione e ripartire.
Dal rifugio Giacoletti scendiamo lungo il Coulour del Porco, un canalone fra detriti e tracce di nevai, fino a scorgere sulla nostra sinistra l’inizio del “Sentiero del Postino“, aereo percorso a mezza costa lungo il paretone di Punta Roma e Punta Venezia, nato per collegare le vecchie caserme militari delle Traversette e del Losas. L’attacco di tale sentiero è costituito da alcuni appoggi metallici a mo’ di scala su una parete verticale di circa tre metri, per poi proseguire su una stretta traccia a strapiombo su una ripida cengia erbosa, attrezzata con una corda. Questo preciso punto, questa scala metallica, è proprio quanto già prima di partire mi preoccupava di più, perché avevo paura di bloccarmi. Ne avevo parlato con Andrea che mi aveva rassicurata standomi vicino in quel pezzo. Nel farlo ho immaginato di essere non su una paretina di roccia, ma su una scala di casa usata per cambiare una lampadina, e questo mi ha aiutata facendomi salire tranquilla. Il sentiero del Postino in sé, pur essendo molto esposto non mi ha intimorita, forse perché la zona strapiombante non è nuda roccia ma una scarpata ricoperta d’erba, seppur ripida.
Giunti nel vallone delle Traversette, saliamo ancora fino a raggiungere la conca di detriti del Pian Mait, quindi seguiamo un ripido sentiero tra gli sfasciumi, incontrando resti di filo spinato, ruderi militari ed una caserma abbandonata e pericolante. Poco più su ci appare l’ingresso del Buco di Viso. Intorno a noi l’assenza del sole ha trasformato tutto il panorama in bianco e nero. Le sagome scure di Granero e Meidassa ci osservano incombenti. Attraversiamo lo stretto cunicolo. Una corrente di aria gelida ci accompagna lungo il breve percorso. Sbuchiamo in Francia, nella valle del Guil: il vasto paesaggio della regione del Queyras che si apre dinnanzi a noi è brullo, ocra e grigio. C’è molto silenzio, e nessuno oltre a noi. Da lontano scorgiamo la nostra meta, il rifugio Viso, ma dobbiamo compiere ancora due ore di cammino prima di raggiungerlo. L’altro lato di Punta Venezia, Punta Roma e Punta Udine è morfologicamente assai diverso da quello che si vede sul nostro versante. Più in là, il profilo tagliente della Pointe de Marte, lato francese delle Rocce Fourion, solca la valle in direzione di remote cime imbiancate di cui ignoriamo i nomi. Un grosso ed ordinato gregge di pecore punteggia il pianoro, ed il tortuoso ma placido corso d’acqua del Guil lo taglia per un tratto. Il Monviso è completamente occultato dalle nubi: l’aria è satura di umidità e sta per piovere. Anche questa volta arriviamo in tempo nel rifugio. La pioggia durerà per tutto il giorno. Ne approfittiamo per chiacchierare in relax, pur essendo un po’ dispiaciuti dal non poter fare un giretto nei dintorni (Andrea ci aveva parlato di un bel laghetto poco distante dal rifugio). La cena è ancora una volta ottima e abbondante; la stufa accesa riscalda i cuori e gli animi, facendoci ben sperare per il meteo del giorno successivo. Il grigio e pasciuto gatto del rifugio gira fra i tavoli facendo sonoramente le fusa.
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