Fine estate ed inizio dell’autunno le prime piogge donano refrigerio alla terra assetata e come per incanto inizia la raccolta dei funghi nei boschi del Piemonte e come per magia in quelli che sembravano essere luoghi dimenticati dagli uomini iniziano a pullulare voci e s’ode un tramestio di foglie. La raccolta dei funghi è normata dalla Legge regionale 17 dicembre 2007, n. 24 Tutela dei funghi epigei spontanei, modificata dalla l.r. 7/2014, che autorizza la raccolta, previo pagamento di una tassa di 30 euro annui, ridotta di un terzo per i residenti, una legge che lascia come sovente accade perplessi, almeno per l’aspetto legato alla tassa sui residenti, in particolare quella che dovrebbero pagare coloro che nei boschi di proprietà, tenuti puliti e coltivati magari a castagne, si accingessero a raccogliere qualche bel porcino svettante nel rado sottobosco.
Perché mai, invece di estendere la riduzione ad un generico residente del territorio, non si è tutelato il lavoro di chi ancora quei boschi li custodisce e nel suo pieno diritto ne raccoglie i frutti questo è un mistero.
E si perché la qualifica di residente non è sinonimo di persona attenta al suo territorio, rispettosa del suo ecosistema o semplicemente attiva nel mantenerne e rispettarne le peculiarità. La realtà del territorio pedemontano è nota a tutti da tempo, da quando ormai 50 anni or sono ne scrisse Nuto Revelli le testimonianze dei resistenti emarginati in quel libro sacro, per chi ha amore per la verità e la storia, che è Il mondo dei vinti, molto è stato detto e poco o nulla fatto.
Sono stati anche residenti storici a snaturare i borghi di montagna per farli diventare pessime stazioni sciistiche, contagiate negli ultimi anni dal morbo deleterio dell’innevamento artificiale, costruendo condomini insulsi al posto delle vecchie case, ricoprendo di cemento armato angoli deliziosi delle valli per pura ignoranza e speculazione. E quindi perché estendere ad un generico residenti? Non sarebbe stato più giusto segnalare la gratuità ai custodi del territorio? A tutti quelle persone che dedicano parte del loro tempo per la manutenzione di strade poderali o vicinali, strade bianche o sentieri che spesso sono devastate dai briganti sui quad o dalle corse di enduro mascherate da gite turistiche? Coloro che con un vecchia falce, un moderno decespugliatore o facendo pascolare delle greggi mantengono il territorio e contengono l’invasione dei rovi, facendo apprezzare ai passanti la bellezza di un bosco curato dall’uomo, pensiamo alla poesia di un secolare castagneto da frutto, non sarebbero costoro gli unici a poter vantare un diritto di gratuità? Già ma come fare per riconoscere queste persone, questi custodi del territorio? Ed eccoci qui al nodo della questione, cosa ne sanno i Comuni del territorio? Quale percezione hanno della gestione dei boschi, quale progettualità hanno della e sulla montagna? Ma quanti sono i Sindaci o gli assessori che scarponi ai piedi si girano il territorio che amministrano per riscoprirne la storia materiale, per sapere e incontrare chi ancora su quelle rive si rompe la schiena e magari stringergli le mani e riconoscergli questo lavoro anche solo offrendogli un simbolico, ma reale, pranzo una volta l’anno (non osiamo spingerci all’esenzione delle tasse sui terreni), così però da avere contezza della situazione e progettare il futuro della montagna? Naturalmente generalizziamo quando parliamo dei politici amministratori e non ce ne vogliano chi si impegna e propone, noi siamo ben lieti di potergli dare spazio e voce e in questo caso l’invito e a scriverci. Ma la realtà diffusa, sotto gli occhi di tutti è altra. E allora andiamo per funghi con il nostro bravo patentino tutto a posto perché alla fine quello che interessa alla più becera politica è quel versamento di tasse, mentre tutta la storia della montagna continua a rotolare nell’oblio.
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