Inizio a scrivere in questa mia rubrica “Racconti di un’escursionista qualunque” in un momento assai triste per il Piemonte e per tutti i frequentatori della montagna; un periodo di emergenza incendi dei boschi.
Un bosco che brucia apre una ferita nella terra, mettendone a nudo il cuore e colmandolo di cenere.
Il cupo e sinistro crepitare delle fiamme annichilisce le consuete sonorità del bosco, ed annienta definitivamente il silenzio in cui le foglie in autunno cadono leggere ricoprendo il suolo.
Non si trova ristoro nei boschi che bruciano, né un rifugio per la mente, che vorrebbe urlare tutta la sua angoscia per quello che gli occhi sono costretti a vedere.
Quando un albero prende fuoco, metaforicamente va in fumo anche una parte del futuro dei nostri figli e del nostro pianeta, perché con l’incenerimento degli alberi se ne va un inestimabile valore, frutto di secoli e secoli di evoluzione biologica. Si perdono ossigeno, qualità dell’aria, produzione di legno, difesa idrogeologica e soprattutto biodiversità: gli alberi e la flora del sottobosco hanno tempi di recupero molto lenti, e la fauna non trova scampo tra le fiamme o finisce soffocata dal fumo.
In un ettaro di bosco bruciato, mediamente perdono la vita trecento uccelli, quattrocento mammiferi e cinque milioni di insetti, senza contare gli effetti indiretti dell’incendio, dovuti alla carenza di cibo e alle migrazioni forzate a cui è costretta la fauna superstite, con fenomeni di sovraffollamento ed aumento sia della competizione alimentare che dell’utilizzo degli spazi di vita. Tutti questi fattori determinano un incremento della mortalità degli animali.
Un bosco distrutto dal fuoco trasforma in maniera traumatica il paesaggio. Un bosco bruciato non protegge più il suolo, pertanto le piogge, non trattenute dai rami, dalle foglie e dai tronchi tendono ad erodere il terreno, aumentando il rischio di frane e smottamenti.
Ogni volta che un bosco viene aggredito da un incendio, come quelli devastanti che hanno colpito le nostre valli nelle ultime settimane, si punta il dito contro i piromani, contro il clima che sta cambiando…
Ora, se a scatenare i roghi sono quasi sempre le mani e le menti dell’uomo, una concausa del rapido diffondersi è da addebitare al progressivo abbandono di tutte le pratiche di manutenzione che in passato venivano effettuate allo scopo di rendere il bosco meno sensibile nei confronti del fuoco.
I diradamenti, le ripuliture, il pascolo disciplinato, eventuali colture ed in alcuni casi anche il fuoco controllato, facevano sì che il sottobosco non fornisse esca e nel contempo, la presenza attiva dell’agricoltore o del pastore era garanzia e sicurezza per un rapido intervento anche qualora l’incendio scoppiasse.
Oggi tutte queste operazioni sono molto trascurate, a causa del forte spopolamento delle zone collinari ed alpine. Ad ulteriore aggravio, la carenza di strutture e di servizi atti a assicurare il mantenimento del bosco, in funzione dell’uso e non dell’abuso più intenso.
Qualunque iniziativa di salvaguardia e prevenzione si rivelerà insufficiente se la coscienza sociale è poco attenta alle esigenze dell’ambiente.
Nessuna azione di sensibilizzazione sarà mai pienamente efficace se non mirerà a realizzare una cultura della tutela del patrimonio forestale inteso come bene imprescindibile che appartiene alla stessa collettività, perché la tutela dei boschi va di pari passo con il grado di civiltà, cultura e sensibilità delle persone, e con la qualità dei rapporti che esse sono in grado di stabilire con l’ambiente.
Mi auguro che una riflessione su questa ennesima tragedia spinga chi di dovere a prendere provvedimenti e concrete azioni e vi invito a seguirmi nei racconti delle prossime uscite.
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