La crava a sarjia bùna s’a l’aveisa la buca ‘n muntagna e ‘l cùl an campagna
(La capra sarebbe buona se avesse la bocca in montagna e il fondoschiena in campagna)
Durante una passeggiata tra le borgate e le vallate di Oncino in cerca di aria fresca in queste giornate così afose anche nelle zone collinari, ci siamo imbattuti in una serie di mandrie di vacche al pascolo che ci hanno tenuto compagnia lungo i sentieri fino al monte Tivoli in alta valle Po. E così nei giorni in cui riemerge il dibattito sui formaggi fatti con il latte in polvere, in quanto l’Italia dovrebbe adeguarsi ad una direttiva europea che prevede il suo impiego per la produzione di formaggi anche legati al famoso marchio del made in Italy, e nei giorni nei quali l’Italia celebra nel mondo il tema del cibo sotto la bandiera della buona nutrizione del pianeta, il ritorno alla dimensione del pascolo non può far altro che bene alle nostre distratte coscienze. In effetti siamo di fronte a una questione culturale di estrema importanza: il formaggio e l’alpeggio sono parte significativa della nostra civiltà, che risale alle origini della domesticazione, 10.000 anni fa, e attraversa la storia dell’Europa. E il latte è la ragione d’essere del formaggio, non è uno dei tanti ingredienti. Per questo è fondamentale salvaguardare la sua qualità, il suo legame con il territorio e la sua produzione negli alpeggi delle Alpi, dove ogni formaggio acquisisce la sua peculiarità e specificità e il suo inconfondibile e unico sapore. E il rapporto migliore tra il latte, gli animali e il territorio lo si coglie proprio negli spazi infiniti del pascolo, dove famiglie resilienti continuano da generazioni a trasferire abitudini, saperi e conoscenze ai più giovani, nella speranza di lasciare un testimone semplice e significativo per le future generazioni attente al nostro paesaggio montano. Si perché la salvaguardia di un paesaggio avviene attraverso la salvaguardia della memoria della sua trasformazione, del suo uso e della sua storia, non è un concetto astratto, e allora, forse, invece di seguire sterili dibattiti teorici, sarebbe molto più utile spostarsi in montagna, parlare con i margari, assaggiare il loro formaggio e conoscere una civiltà antica di mille anni. Seguire una vita quella dell’alpeggio tutt’altro che semplice, scandita da ritmi ripetitivi a contatto con una natura non sempre favorevole, anzi spesso difficile nelle sue manifestazioni di siccità come in queste settimane dove l’erba inizia a seccare e, di conseguenza, si riduce il cibo per gli animali, costringendo le mandrie a spostamenti più frequenti, o di pioggia battente dove tutte le operazioni di mungitura, andare al pascolo, stendere ad asciugare le tele per i formaggi e persino spostarsi su alcuni sentieri diventano difficili nelle giornate di maltempo, per non parlare delle nevicate improvvise o di fenomeni temporaleschi che si estremizzano alle quote più elevate della montagna. Anche trovare pascoli adatti e a prezzi convenienti è diventato un percorso sempre più impervio e accidentato: le recenti indagini su frodi e sull’uso improprio di fondi europei legati proprio agli alpeggi, sono indicativi delle difficoltà che devono superare i piccoli allevatori. I costi dei terreni comunali diventano sempre più rilevanti con l’esclusione di quelle amministrazioni virtuose che preferiscono favorire chi lavora e vive sul territorio piuttosto che affittarli a grandi allevatori della pianura padana che spostano ingenti numeri di bestiame verso i pascoli più convenienti (ma il costo del trasporto e la sostenibilità economica e ambientale dove la mettiamo?). E allora l’invito è quello di recarsi sempre più spesso in montagna e percorrere i sentieri dei pascoli, ascoltare i racconti dei margari, gustare i formaggi, condividere le loro difficoltà, superando la ritrosia di mondi spesso molto distanti, e il loro straordinario amore per il territorio alpino e per gli animali, fondato su di uno strettissimo legame con il paesaggio dell’acqua, della terra, delle rocce, dei fiori, e dove ogni anno si aspira a tornare, stagione dopo stagione.
Testo: Silvia Beltramo
Consigli per la lettura:
Luca Mercalli, Chiara Sasso, Le mucche non mangiano cemento, Torino 2004
Marzia Verona, Vita d’alpeggio, Torino 2006
Marzia Verona, Di questo lavoro mi piace tutto. Giovani allevatori del XXI secolo, la passione per combattere la crisi, Savigliano 2012
Lascia un commento