Ogni volta che mi ritrovo a ciaspolare nel vallone di Bellino mi sembra di passeggiare dentro una di quelle sfere di vetro che racchiudono un fiabesco paesaggio invernale, dove la neve cade copiosa per volontà di chi provvede ad agitarla, e si deposita ovunque, silenziosa e candida, ricoprendo questo microcosmo fatato. Le borgate che si incontrano risalendo la valle sembrano uscite da una favola di Andersen: il campanile della chiesa si trova sempre in una posizione tale da essere visto da ogni dove, i corsi d’acqua formano dolci anse che abbracciano l’abitato e le sfumature della pietra e dell’intonaco sono perfettamente in tinta con i colori del paesaggio. Una sorprendente semplicità bucolica che cela però la tempra di chi non ha lasciato nulla al caso per potersi adattare a vivere in un ambiente duro, seppur magnifico. E poi gli alberi spogli e ricurvi sotto il peso della neve, che sfilano lungo le stradine che si intuiscono appena sotto il manto bianco, i pini e gli abeti che fanno da sfondo, le staccionate che proiettano linee nere sul bianco che tutto avvolge… Ed ancora il trascorrere del tempo: indefinito, quasi dilatato ma disegnato sulle numerose meridiane che decorano le facciate delle case. Agli occhi di chi osserva non c’è a mio parere una montagna che emerge sulle altre per altezza o forma, a parte la Rocca Senghi, un monolite incastonato nel vallone, quasi un dado di proporzioni ciclopiche tirato qui da qualche divinità remota e rimasto quasi in bilico fra i pendii. Alea iacta est. Ma non ci è dato sapere quale numero sia stato scelto dalla sorte, perché gli elementi hanno cancellato e livellato tutte le facce di questo macigno. Soprattutto il vento, che spesso soffia in questa stagione, sollevando come zucchero la neve dal suolo e sferzando i volti di chi si trova a camminare qui. Sono ancora pochi gli escursionisti che scelgono questa valle in inverno, ed in giornate fredde ma piene di luce è bello muoversi insieme agli amici lungo i possibili itinerari. Uno di questi è il vallone del Rui, per raggiungere il quale si attraversano resti di borgate abbandonate invase dal bianco che tutto domina. Candele di ghiaccio pendono dai tetti in losa, brillando al sole come spade di cristallo. La salita è impegnativa e fiancheggia il Senghi che, da nuove prospettive, pare quasi il fronte dell’Ayers Rock aborigeno trapiantato in un deserto bianco. Il suo ocra cangiante con la luce del sole che man mano sale fa da contrasto con la candida tovaglia bianca che ricopre tutto il resto. La neve intatta e soffice si apre sotto i passi che rompono il silenzio con il loro tonfo ovattato. Chi viene qui, ben sa di non essere solo: scrutando attentamente i pendii ed i crinali tutt’intorno, non è raro individuare gruppi di stambecchi e di camosci muoversi agilmente in mezzo a neve e roccia. Sono loro i custodi di questo superbo regno minerale, ed alcuni ci osservano fieri e nel contempo curiosi. Sole, vento e neve sono gli elementi che in genere accompagnano questa salita in inverno. Il vento solleva la neve generando un’illusione ottica di nuvole che si aggiungono a quelle del cielo. Il vento congela in parte la neve, creando una crosta che a tratti cede facendo affondare fino al ginocchio. La neve costringe all’attenzione intorno a noi e dentro di noi. Ai tempi lunghi. Lima rumori e colori. Il sole scende in fretta in inverno. Le sagome scure degli uomini si confondono con i bassi cespugli e si perdono nelle vecchie baite che si incontrano nuovamente sulla via del ritorno. Ancora una volta il paesaggio, la fauna del luogo ed il camminare insieme riempiono i nostri cuori appagandoci, nonostante la fatica. Ed è bello a fine gita ritrovarsi intorno ad un tavolo e gustare in allegria un’ottima e sontuosa merenda!
Testo di Elena Cischino, tutti i diritti sono riservati
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