Laila Chapel ha visto il mondo. E poi ha deciso di tornare. Classe 1973, dopo i 19 anni ha passato la giovinezza in giro per l’Europa: quattro anni a Londra, due in Spagna, quattro in Germania. Nel 1998 il papà ha comprato una baita e tutto è cambiato: «La sua idea era di sistemare una casa dove passare i weekend quando sarebbe stato in pensione – racconta –. Ma la decisione di acquistare è coincisa con un mio momento personale in cui avevo capito che il lavoro in ufficio turistico a Berlino non mi andava più, era solo routine. Avevo 30 anni, un’età in cui le decisioni si prendono con il sale in zucca». Così Laila è tornata a casa, a Pontechianale, e dal ’98 al 2010, ha aiutato il padre nella ristrutturazione della baita d’estate e fatto le stagioni in Francia d’inverno, per racimolare un po’ di soldi. Recuperare la casa è stato un grosso sacrificio per tutta la famiglia. Ci sono voluti tempo, soldi e dedizione: «Io stessa lavoravo alla costruzione – ricorda Laila -. Non ero l’unica. Siamo stati aiutati da moltissimi amici! Alcuni sono dottori, altri avvocati. Persone con professionalità e competenze molto diverse hanno lavorato insieme a noi. È stata un’esperienza bellissima a livello umano». È nato così, una pietra alla volta, il rifugio Grongios Martre: una struttura ricettiva diversa dalle altre vicine sul
territorio, con appena quattro camere invece che grandi camerate, abbastanza comoda da raggiungere, ma comunque immersa nella natura e dove Laila e Luca, conosciuto in valle Maira, vivono tutto l’anno. «Luca gestiva un rifugio nelle Alpi Marittime – racconta lei -. Ha cominciato passando le estati là e aiutandoci qui in inverno. Il nostro progetto è continuato e una figura professionale esperta come lui serviva per la gestione e così è rimasto».
Vivere in montagna non è stato un ripiego, ma una scelta. Fatta con consapevolezza e quell’amore per il territorio d’origine e per le montagne che spinge a scegliere monti e trekking anche in vacanza, anche quando si va al mare. Per Laila vivere in rifugio nel 2017 non è diverso che essere in altri posti: c’è internet, c’è la macchina per raggiungere i servizi più vicini, ci sono i giornali online, la tv. Ci sono dei pro e dei contro, come in ogni luogo: «Se si vuole andare al cinema ci si organizza un po’ prima e si fa. C’è una quotidianità e il lasciare indietro delle cose perché in fondo non interessano. Per vivere in rifugio certo bisogna volersi bene. Prima di tutto a se stessi, per non patire l’eventuale solitudine. E poi a chi ci sta vicino perché è facile litigare se non c’è una serenità di base». Per la rifugista vivere in una baita isolata non è così diverso da stare in una grande capitale europea: «Trovo similitudini tra la vita qui e quella a Berlino. Quello che accomuna i due luoghi è la libertà di fare quello che si vuole».
Una libertà che si respira anche nella struttura, dove non ci sono limiti di orario per la colazione, dove ci si può riposare senza partecipare ad attività organizzate o a escursioni programmate. Dove i clienti, anche a pranzo e cena, sono sempre pochi: «Chi sceglie di venire qui lo fa perché è un posto tranquillo, semplice, dove davvero ci si può rilassare. Per noi è importante il rapporto umano.
La vita all’estero mi ha insegnato a comunicare. Parlo inglese, francese, tedesco, spagnolo e più che l’italiano preferisco l’occitano perché sono legata al mio territorio. La conoscenza della lingua mi permette di dialogare ed entrare in contatto con i miei ospiti». Il rifugio è aperto da sette anni e la formula sembra funzionare. Gli ospiti arrivano da Piemonte, Liguria, Lombardia e molti dall’estero. Il far parte di Monviso Piemonte è aver abbracciato la filosofia, anche se non partecipano a molti eventi. I clienti d’altra parte scelgono la tranquillità e la vista di un bosco bellissimo: «E sanno – conclude ridendo Laila – che da noi non ci sono le cose classiche da rifugio come la crostata ai mirtilli. E nemmeno la polenta!».
Testo: Sara Perro
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