Fa parte dell’abitudine italiota di pensare alle grandi opere come risolutive di tutti i mali del nostro vivere ed è così che anche nel piccolo delle amministrazioni locali questa mentalità ha contribuito nel tempo a generare quantomeno delle distorsioni. Tralasciando i casi assurdi dell’innevamento artificiale delle stazioni sciistiche, di cui abbiamo già parlato, che sono interventi di natura privata fortemente finanziata da sovvenzioni pubbliche (vedi dislivelli), ci pare doveroso segnalare, seppur su scale diverse, il principio della grande opera porta con se, nella nostra epoca, un esemplare caso di smemoratezza. Quella smemoratezza, a volte molto interessata alla spesa sull’opera, che si dimentica che tutto quanto viene edificato dall’uomo è inesorabilmente soggetto al degrado dell’uso e dello scorrere del tempo. La vera grande opera che l’uomo saggio ha praticato per centinaia di anni nelle montagne era quella della manutenzione giornaliera di una strada, di un fosso o bealera, di un muretto a secco e via dicendo; qualcuno ricorda ancora il lavoro del cantoniere? Scatoloni ricolmi di mappe e tracciati montani hanno popolato gli archivi e le bacheche di comunità montane e uffici del turismo, grandi opere di tracciatura e apertura di sentieri che poi nel tempo si sono definiti solo sulla carta.
Ogni valle ha i suoi, soventi quelli di media e bassa valle, che, anche se motivati da buone intenzioni, devono poi alla mancanza della ordinaria manutenzione dei sentieri la loro precoce scomparsa. Così a volte sprovveduti turisti e ignari viandanti si perdono in selve sconosciute e imprecano le più nobili benedizioni ai santi patroni dei viaggiatori.
A tutti sarà capitato durante una escursione in montagna di sperimentare dei sentieri non proprio agevoli nella loro individuazione o pessimamente transitabili. Da un lato quindi la sfuggente attenzione alla manutenzione e dall’altro una incredibile fantasia nei sistemi di tracciatura e comunicazione.
Un caso di estroversa pratica nella comunicazione è rappresentato dalla pensilina costruita per ospitare un semplice pannello riportante la storia della costruzione della più grande opera pubblica montana di fine 1400, quella del Buco di Viso, posta in prossimità dell’ingresso del primo tunnel delle alpi. Qui si sono sprecati legno e lose per ospitare un pannello che, in maniera decisamente meno impattante visivamente e lungimirante nella sua manutenzione, poteva essere affisso direttamente in parete, con 4 tasselli e buona pace di tutti. Durante l’ultimo inverno la “pacchiana” struttura ha avuto la peggio con gli “imponderabili” elementi climatici, che l’hanno schiantata al suolo senza badare alle iperboli dei progettisti. Ora sarà necessario rimuoverla, perchè d’evidente intralcio ai passanti, con l’esborso pubblico di ulteriore denaro pubblico, e ci si pone la domanda; ma se a pagare chiamassimo i progettisti e chi li ha autorizzati?
Spostandoci di poche decine di metri e scavallando in Francia all’uscita del Buco di Viso si nota che la nuova “prolunga” del tunnel, costruita e finanziata dalla Regione Piemonte nel 2014, è stata invasa, nonostante la chiusura con assi di legno da ottobre a luglio, da una massa enorme di neve. Qui la domanda che ci si pone era, ma vista la spesa non era pensabile la messa in opera di un portone in acciaio apribile dall’interno a chiusura pressoché stagna, al posto delle assi di legno? Se l’aggiunta di questa opera serviva per agevolare e accelerare i tempi di passaggio dal Buco di Viso il risultato non soddisfa le aspettative; ci auguriamo che qualcuno ci possa dare lumi in merito.
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