Una domenica andiamo a fare un sopralluogo per una prossima gita e a cercare qualche scatto fortunato in una zona della valle Po dove camosci e caprioli si fanno vedere, non come infissi alle pareti o impagliati, ma belli arzilli saltellanti nei boschi; insomma giornata di scatto rapido e si spera fortunato. La meta è definita nella valle di Oncino, punto di partenza Madonna del bel faggio, un luogo dall’energia profonda, sarà per la posizione in cui è stata edificata nel 1535 la prima cappella, a sbalzo sulla valle sottostante, saranno gli splendidi faggi che inebriano di tenero verde brillante adesso ad inizio primavera e s’infiammano bruciando di colori in autunno, saranno gli incombenti massi che subito ti avvisano della nostra piccola essenza…sarà.. partiamo! Il sentiero che si diparte da “bel faggio” è ampio, una bella mulattiera, larga almeno un metro e mezzo, con muri di contenimento a monte e a valle della sede viaria, che purtroppo con l’abbandono manutentivo risente in vari tratti di emergenze dovute a cedimenti e crolli.
Prima di arrivare a Oncino prendiamo sulla destra un più rustico sentiero, più irto e popolato da rovi, rami piegati dall’inverno molto nevoso, che in breve ci porta sul crinale che dalla valle Lenta ci proietta sulla più conosciuta valle Po.
Qui un gruppo di camosci ci sguscia via prima che l’obbiettivo si proietti su di loro, seguiti da un sguardo, decisamente poco rapido e pronto. Fuggiti, occasione persa. Presenza e consapevolezza 0, peccato.
Il panorama su questo spartiacque è piacevole, il salto quasi a picco verso la val Po proietta immagini inconsuete della bella Ostana e delle sue borgate solatie; oltre si erge maestoso il Santuario di San Chiaffredo, assiso sul suo sperone roccioso.
Pochi passi e siamo al Saret di Oncino, poche case ripiegate su questi due versanti, poi imbocchiamo la strada bianca che procede in direzione Crissolo, nell’inverso del monte Cialancie, di là dalla valle continuano a godersi il sole, i borghi, i bei pascoli d’Ostana.
Qui subito notiamo che la “vecchia” bacheca riportante la mappa del territorio e il classico punto rosso del “voi siete qui” è adagiata, come una viandante stracca, al terreno, le sue gambe stanche, legnose, non hanno retto al tempo; peccato che i progettisti non le abbiano infuso quel senso di eternità che sgorga dalla loro penna.
Procediamo verso i ruderi della Chiesa di San Giacomo e ad attrarre la nostra attenzione sono le canaline di scolo trasversali in larice che sono pericolosi presidi per gli escursionisti distratti, la loro scivolosità, con o senza neve, è pari a quella del ghiaccio vivo; anche loro non sono in ottima salute, sono intasate, terra, sassi e foglie, ne costituiscono il ripieno, rendendole inservibili.
Un ultima salita e dopo l’abbraccio di una bella faggeta siamo tra le conifere di San Giacomo a cui, per nostra sorpresa, si aggiunge novità recentissima (si legge 30 aprile 2018) una delle ormai contagianti panchine giganti di origine langarola.
La introducono i resti spiaggiati di un bel faggio, tagliato quando ormai pensava d’aver superato l’inverno e tenere foglioline ne rallegravano le fronde, poco oltre, come assisa su un trono, lei, la geneticamente modificata panchina fa bella mostra di se.
I ruderi di San Giacomo la guardano invidiosi, non più pellegrini sui sentieri, ma spensierati gitanti saranno a venire; una pancona d’oggi contro un panca e ceci di ieri, una gara persa in partenza. La curiosità su chi e perché ha proiettato quest’opera ai margini del bosco con la vista affacciata alla valle Po, la infondo si scorge placido il Mombracco mentre alle spalle rifugge il Re, è d’obbligo; ma al momento le bacheche installate sono vuote a presagio di futuri interventi divulgativi. Una curiosità che si sazia solo qualche giorno dopo a seguito di alcune telefonate al comune di Oncino che ci conferma, nella persona del vice-sindaco, che l’intervento è stato proposto dal locale gruppo di Alpini che, prendendo spunto dalle ormai dilaganti creazioni dell’artista statunitense Chris Bangle, ha suggerito l’ennesima replica all’amministrazione comunale. Condividendone lo spirito e non sobbarcandosi di esborsi economici, il finanziamento dell’opera è stato a carico degli alpini, il Comune, che mette a servizio un palmo di terra, ne ha approvato con delibera la fattibilità; tutti si dichiarano certi che questo intervento serva a “portare gente a Oncino”. Senza entrare nel merito su se e cosa serva installare un’opera di questo genere nella natura, e il perché sia stato scelto un tracciato decisamente secondario rispetto a via più battute, quello che salta agli occhi e che sia una locale sede degli Alpini a immedesimarsi nel ruolo di promotori del territorio. Premettendo che nessuno ha nulla contro questa Istituzione nazionale, che spesso è proprio l’artefice di utili interventi di manutenzione, lascia un poco perplessi che ancora nel 2018 la promozione turistica, il tanto decantato “Turismo” venga applicato in larghe parti delle valli del Monviso con interventi spot privi di una reale progettazione (forse 10 panchine sul Monviso per decantarne storia, natura, futuro sparse su luoghi e percorsi simbolo poteva avere almeno il merito di una brillante azione di marketing turistico). In questa anarchia progettuale, dove vige la legge del “bisogna fare qualcosa”, ognuno propone e realizza l’intervento che mancava perché finalmente frotte di turisti si riversino nelle valli.
Nel frattempo i muri a secco cadono, le tracce dei vecchi sentieri si perdono nelle selva, le canaline sono da pulire (nonostante e forse per colpa dell’infunzionalità progettuale) e gli apparati di informazione giacciono esangui dove presenti e un vero progetto per la montagna, e prima ancora per le persone, latita. Oltre la valle la bella Ostana ci guarda e, con tutte le sue sfaccettature e controversie, la sua progettualità rimane un miraggio in valle Po.
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