Definire con assoluta certezza la data di una prima ascensione è impresa spesso ardua. Ancora più difficile se si parla di una traversata o di un itinerario che non presuppone nessun tipo di ascensione. Storia a sé è il tour del Viso. Se permane ancora qualche dubbio su chi effettivamente abbia portato a compimento la prima salita, così non si può dire dell’intero periplo. Le cronache dell’epoca ci parlano di un certo Mr. David Forbes, docente di filosofia naturale all’università di Edimburgo che con la scusa di redigere uno studio sui ghiacciai della Savoia, nel 1839 decise di intraprendere un lungo viaggio via mare sino a sbarcare a Marsiglia e da qui avviarsi verso il Queyras. Siamo in un periodo storico in cui gli inglesi, supportati psicologicamente dall’essere la più grossa potenza coloniale del periodo, si riversano oltre manica con il tipico approccio dell’esploratore, ma anche del conquistatore. E’ un susseguirsi di spedizioni scientifiche di vario genere dove immancabilmente gli zelanti studiosi sudditi di sua maestà britannica, non perdono l’occasione per apporre il proprio nome negli annali ancora vergini delle prime ascensioni. In tal senso il nostro Forbes sfugge un po’ a questa regola. Non è interessato a prime ascensioni, la molla che lo spinge all’esplorazione sembra proprio quella di carattere scientifico (a lui si deve l’invenzione del sismografo). Risalirà la Valle del Guil, non prima di aver assunto una guida, scavalcherà il Colle delle Traversette (non è dato sapere in che condizioni fosse il Buco di Viso, nei suoi appunti non vi sono commenti a riguardo) e scenderà in Val Po per poi risalire, con ogni probabilità, il colle di Viso e raggiungere nuovamente il Queyras attraverso la Val Varaita. 14 ore in tutto senza appoggiarsi a nessuna struttura (ricordiamo che il rifugio Alpetto, primo rifugio del Club Alpino Italiano aprirà i battenti circa 30 anni dopo) per portare a compimento quella che lo stesso Forbes definì una sfacchinata. Ma oramai il primo, seppur titubante passo era stato mosso. Negli anni a venire il diario dello studioso inglese diverrà un riferimento per tutti i suoi connazionali i quali nel ventennio successivo prenderanno letteralmente d’assalto la zona. Dopo il tentativo fallito del geometra Saluzzese
Ansaldi di salire in cima al Monviso si susseguiranno i tentativi, prevalentemente di compagini anglosassoni. Esattamente come per il tour, i locali, sudditi riottosi dei Savoia, non erano interessati a questo genere di cose. Non ne vedevano la necessità, ma soprattutto non potevano permettersi il lusso di perdere preziose giornate di lavoro nel tentativo di salire su quello che per loro era poco più che un cumulo di pietre. Non dimentichiamoci che il concetto di turismo è un qualcosa di ancora molto lontano a venire. Molto spesso gli inglesi, ma in generale i turisti e studiosi delle Alpi venivano presi dai valligiani, nella migliore delle ipotesi come personaggi pittoreschi, ma comunque talmente ricchi da potersi concedere di passeggiare serenamente la dove loro si spezzavano la schiena nel dissodare patate. Non di rado la curiosità lasciava posto al dubbio. I campioni di minerali con cui i geologi si riempivano le tasche, era spesso vissuta come una azione estremamente sospetta, al punto da scambiarli come veri e propri stregoni. Le cose cambiarono (non tanto dal punto di vista dell’eccentricità attribuibile agli stranieri, quest’approccio rimarrà immutato praticamente sino ai giorni nostri) quando iniziarono ad aumentare i turisti in valle e si capì che il fargli da guida poteva divenire una fonte di reddito. Whymper il primo salitore del Cervino (guarda caso un inglese!) ricorda che durante la tragica discesa che dalla Gran Becca portava a Zermatt i due giovani portatori che erano con lui non vollero esser pagati. Chiesero invece che i loro nomi venissero trascritti sul libro dei visitatori dell’albergo dove Whymper alloggiava, sostenendo che così l’anno dopo i turisti che sarebbero arrivati in valle per sostenere l’ascensione del Cervino li avrebbero assoldati come guide. A quanto pare i due ragazzi avevano visto lungo. Sebbene le valli che si affacciavano sul Monviso non raggiungeranno mai lo sviluppo turistico di alcune valli Valdostane (pensiamo a quelle di
Courmayeur o Cervinia), nelle valli Po, Varaita e Queyras, agli sparuti alberghi appartenuti per generazioni alla stessa famiglia, andranno ad aggiungersi nuove strutture atte alla ricezione turistica. A ruota verranno costruiti anche rifugi in quota. Inizialmente ricoveri che fornivano comunque un punto di appoggio lungo il tragitto. Vedi il bivacco nel vallone delle Forciolline nel 1864 con otto posti letto. Mentre è del 1866 l’Alpetto, il primo rifugio del nascente Club Alpino Italiano, che sulla carta poteva ospitare, schiacciate come sardine sino a 12 persone. Il vero e proprio salto di qualità, segno evidente dell’aumentato numero di persone che percorrono i sentieri delle terre alte, avviene con la decisione del Cai di costruire il rifugio Quintino Sella nei pressi del Colle di Viso nel 1905, con una capienza di ben 80 posti! Da allora la ricettività turistica nelle valli è aumentata di molto, così come il numero di persone che si possono incontrare lungo i sentieri; i tempi con cui gli atleti compiono l’intero giro durante l’annuale gara podistica farebbero strabuzzare gli occhi di stupore a Forbes e ai suoi collaboratori, ma permetteteci una piccola digressione poetica.. Nonostante tutto, siamo fermamente convinti che percorrere questi sentieri abbia mantenuto ancor oggi quel minimo di connotazione romantica così difficile da trovare in altri luoghi.. Da cosa dipende? Beh se vi ponete questa domanda è perché non ci siete mai stai, allora è venuto il momento di fare due passi da quelle parti!
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