Di biodiversità si sente parlare parecchio e non sempre a proposito, tanto che a volte sembra più un termine abusato e di moda che un concetto importante e fondamentale.
Possiamo darne una definizione di tipo matematico, che è la più semplice di tutte, che suona pressappoco così: la biodiversità e data dal numero di specie presenti per unità di superficie.
Da qui possiamo dedurre che più è alto il numero di specie maggior è la biodiversità.
Corretto, ma visto in questa ottica sembra terribilmente noioso, sembra una lezioncina di scienze tenuta da un vecchio trombone che prima della campanella darà la lista di pagine da imparare a memoria per la prossima lezione..
Per fortuna la biodiversità, la parte interessante della biodiversità, sta altrove.
In un qualunque ambiente, dalla foresta all’orticello sul terrazzo al prato verde di casa le interazioni tra i viventi che lo popolano sono la vera essenza della biodiversità.
Tutto questo segue un principio quasi banale, ovvero tante specie di viventi danno tante interazioni tra loro, la somma tra queste interazioni crea innumerevoli equilibri che si mantengono da sé e possono ricombinandosi creare equilibri nuovi quando qualche fattore diciamo disturba la quiete.
Ora usciamo dall’aula del vecchio trombone e andiamo nell’orto, o nel prato verde o in una azienda agricola, andiamo dove possiamo ma andiamoci e se possibile sporchiamoci le mani.
In un orticello, per quanto piccolo, la biodiversità la possiamo sperimentare coltivando gli ortaggi in consociazione, e su questo argomento i manuali con indicate quali specie mettere insieme non mancano, in un prato verde magari proviamo a seminare trifoglio ladino tanto per cominciare in mezzo all’esangue erbetta da prato inglese…. e vediamo che succede.
La magnolia, l’araucaria, le palme possono anche piacere ma biancospino, ligustro, evonimo e persino il sambuco faranno diventare il prato verde un posto frequentato da insetti ora utili ora semplicemente belli oltre che da una quantità di piccoli volatili.
Risultato? Un ambiente intorno a casa vivo, che non è poco.
Volendo perseguire nell’esperimento potremmo osservare come alcuni problemi legati a patologie delle piante si riducono o si risolvono apparentemente da soli.
Le generazioni che ci hanno preceduto hanno selezionato semi, piante e animali che nel tempo, a dispetto delle loro qualità di adattamento, sono state abbandonate perché o non belle esteticamente o troppo poco produttive rispetto ad altre.
Qualche temerario ancora le coltiva, ma sono tutte a rischio di estinzione. Che vuol dire biodiversità in meno, che alla fine diventa ricchezza in meno (come quasi tutte le perdite).
Qualche agricoltore, ancora sempre troppo pochi per la verità, trova che in un frutteto inerbito con un erbaio simile a un prato stabile, con le erbe lasciate alte, le cose vanno meglio, meno parassiti, più predatori, meno evaporazione di acqua in estate, bisogno di fertilizzare in diminuzione nel tempo, altri fresano, trinciano e diserbano come se non ci fosse un domani..
Qualcun altro fa rotazioni di coltura uscendo dal giro grano mais soia loietto (nella migliore delle ipotesi) contemplando altre piante, sorgo, grano saraceno, farro, amaranto, canapa da seme, a rompere la monotonia delle distese a mais e grano (una manciata di tipi di grano e una manciata di tipi di mais).
E pensare che spesso la soluzione a problemi sanitari di piante, animali e anche uomo stanno proprio nella biodiversità.
Diverse molecole di uso farmaceutico arrivano o sono state scoperte nella dispensa di madre natura in piante non commestibili e che nemmeno danno legname pregiato.
In questi ultimi anni in melicoltura sono comparse varietà nuove di mele resistenti alla ticchiolatura (malattia fungina devastante per la pianta intera il cui contenimento è una delle voci di spesa e fonte di preoccupazione maggiori per un frutticoltore); guardando da quali incroci derivano si scopre che uno dei genitori è sempre invariabilmente un vecchia varietà rustica e naturalmente resistente, rimasta confinata per la sua scarsa commerciabilità (per i moderni parametri) nei frutteti collezione dei vari istituti o enti che si occupano di sperimentazione.
E’ già una buona cosa che si siano conservati almeno li, ma se è vera l’equazione iniziale e dividiamo il numero di individui confinati in queste specie di “riserve indiane” per la superficie totale la biodiversità rimane bassa, troppo bassa.
Biodiversità diffusa sul territorio sarebbe la soluzione ideale, e qui come agricoltore debbo fare una confessione: di ciò che coltivo ci devo vivere e pagare le bollette.
A questo punto, e credetemi non è uno scaricabarile, non posso non citare Carlin Petrini: fare la spesa è un atto politico che si ripercuote sulla produzione fino alle scelte che si fanno in campo.
Chi l’avrebbe detto che, temerari e sognatori a parte, la biodiversità agricola sta nella borsa della spesa di chi un pezzo di terra nemmeno ce l’ha?
Testo: Paolo Priotti
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