Nei nostri boschi dalla pianura alla montagna, fino a dove arrivano le latifoglie, non è difficile distinguere in ogni stagione l’inconfondibile sagoma del nocciolo (Corylus avellana).
È un piccolo alberello o meglio un grosso cespuglio che non presenta un unico tronco ma un cespo di fusti che si allargano in tutte le direzioni a sostenere un globo foglioso alto fino ai 7-8 m.
Originario dell’Europa ha fornito all’uomo nutrimento fin dalla notte dei tempi. Le nocciole selvatiche anche se piccole e di forma variabile dal tondo all’allungato sono tutte commestibili, ricche di grassi e proteine e di gusto delicato e caratteristico. Dai tempi dei Romani si cominciò la selezione di varietà più produttive e dal frutto più grande. Ma è proprio in Piemonte che ad un certo punto è comparsa la nocciola Tonda Gentile delle Langhe anche detta Tonda gentile Trilobata dallo squisito frutto grande e trilobato che si rompe con facilità per liberare la nocciola più buona del mondo (Nutella e Ferrero dicono qualcosa?). Dalle Langhe la coltivazione va diffondendosi in questi ultimi anni un po’ in tutto il Piemonte perché più redditizia di altre colture come ad esempio la vite. Con i suoi giovani rami dritti e flessibili si gioca a costruire archi e frecce ed un tempo se ne ricavava sottili striscioline per intrecciar eleganti cestini e robuste gerle.
Le nocciole si raccolgono in tarda estate ma la fioritura è stata in pieno inverno. Sono fiori strani: specie di spighe pendule e molli (son chiamati amenti) quelli maschili ricchi di polline ed appena due baffetti rossi a sporgere da una gemma gonfia quelli femminili.
Per l’impollinazione ricorre al vento e può compiere la fecondazione anche a centinaia di chilometri di distanza, ed è per lui e per noi una bella fortuna perché le varietà coltivate e gli individui selvatici sono autosterili: il polline di una pianta non riesce a fecondare i suoi stessi fiori femminili. È obbligato ad incrociarsi col polline di altri individui di altre varietà.
Quindi il nocciolo non ha bisogno del lavoro delle api e degli insetti impollinatori. Ma le api hanno bisogno del nocciolo e del suo abbondante polline. È per loro il segno che la primavera arriverà ma soprattutto è il primo raccolto di polline che le stimola a ricominciare a covare.
Infatti mentre dal nettare producono il miele che fornisce alla loro dieta gli zuccheri, il polline costituisce per nostri insetti sociali l’unica fonte nutritiva di proteine.
Finite le ultime fioriture di settembre, con l’arrivo dell’inverno hanno terminato le scorte di polline. Senza adeguata nutrizione la regina ha smesso di deporre le uova e la famiglia si ammassa sui favi dove ha immagazzinato il miele per consumarlo lentamente e mantenere il mucchio di api caldo e confortevole in attesa che l’inverno trascorra.
Il polline di nocciolo in verità non è dei più nutrienti ma, come dicevamo, la sua abbondanza segna per le api la ripresa dello sviluppo della colonia con le prime covate. Le famiglie ricominciano lentamente a crescere e si preparano ad una nuova stagione di raccolti.
Nel boschetto dietro casa mia sulla strada del mio apiario ho un nocciolo che fiorisce per primo e lo fa all’Epifania. Se ai primi di gennaio c’è sole, nelle ore più calde del giorno si sente dal cancello del cortile il brusio delle mie api che si fregano sugli amenti e si caricano di polline in una festa frenetica. È di quei momenti in cui il senso di qualcosa che ricomincia regala fiducia e speranza nell’avvenire. Anche se, o forse proprio perché, si è ancora all’inizio dell’inverno. Quest’anno il mio nocciolo è fiorito il 20 di novembre. Il caldo e le ininterrotte settimane di cielo sereno avevano fatto il miracolo. Ma a me sembrava che avessero fatto un brutto scherzo.
Alcune famiglie di api non hanno nemmeno smesso di covare nuove generazioni e per mantenere tutta questa prole inaspettata hanno dovuto consumare molte più scorte di miele del normale. Così nell’attesa che la primavera arrivi per davvero devo provvedere con scorte artificiali di sostanze zuccherine.
Non ho avuto il mio momento di fiducia e speranza ed il perdurare della siccità che in questi giorni tocca i tre mesi no mi spinge certo all’ottimismo. E non so cosa aspettarmi dalla prossima annata apistica ma avrei bisogno che fosse meglio delle ultime trascorse.
Testo: Paolo Maria Cabiati
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