Si svegliò che era ancora buio. Da ovest soffiava da qualche ora un vento leggero che aveva prima scompigliato e poi spazzato via anche i cirri più alti sopra la sua testa. Quasi allo zenit, accanto a uno spicchio di luca calante, Orione dispiegava le sue stelle sfavillanti, bianche e azzurre, ma Sirio, splendente dei colori dell’iride nel cielo del sud, riusciva a farle apparire minuscole. Anche Giove brillava con luce ferma verso oriente, mentre più lontano ancora Lucifero annunciava il nuovo giorno. Tutte le meraviglie del cielo sembravano essersi date appuntamento in quella notte d’autunno che ormai volgeva al mattino. Il gigante guardò a lungo il cielo sopra di lui: anche se vedeva quello spettacolo da sempre, ogni volta gli sembrava nuovo e non si stancava mai di ammirarlo. Infine, girò gli occhi verso levante, dove una lieve striscia turchina annunciava il sole che stava per sorgere, sopra il buio della grande pianura. Il gigante guardò quella cupa voragine per un attimo, distolse in fretta lo sguardo e sospirò. Senza più guardare verso oriente, il gigante aspettò con pazienza che il sole si levasse, superasse la lieve cortina di bruma che ancora avvolgeva la pianura, illuminasse dapprima con una luce radente e dorata, e poi con una luce sempre più alta e chiara, i pendii e le montagne intorno a lui. Non aveva bisogno di guardare il sole nel suo cammino per sapere a quale altezza esso fosse: gli bastava il variare dei colori del cielo, delle rocce e delle piante per saperlo con precisione.
Tratto da: Silvia Bonino, La leggenda del re di pietra, Araba Fenice, Cuneo, 2013, pp.11-12.
Opera coperta dai diritti di autore; ogni riproduzione deve contenere la citazione completa dell’autore e del testo.
Lascia un commento