La schiena curva, le mani come a suonare una tastiera di aculei, lo spirito raccolto nel gesto e nel bisogno della fame, così li possiamo immaginare i contadini all’ombra della chioma grandiosa del castagno, l’albero del pane per generazioni di contadini poveri delle aree montane del Piemonte e d’Italia. Dalla farina ricavata dalla macinazione delle castagne si cuoceva un pane scuro, di scarsa resa e che si manteneva duro come il frutto originario, ma era molto meglio di quello fatto con le ghiande o il loglio, un pane contro una fame lunga secoli. Mille e non più mille, non parliamo delle previsioni di fine del mondo, ma di quota intorno alla quale cresce e sviluppa la castanea sativa, oltre questo limite non si va, o forse non si andava visto il nostro ingresso nell’era antropocentrica che innalzerà temperature e modificherà ecosistemi. Del castagno e della sua coltivazione si è persa quasi traccia dopo la seconda guerra mondiale quando l’industrializzazione ha spinto le popolazioni marginali, quelle delle montagne abbandonate dallo sviluppo, a scendere a valle, dove il benessere si diffondeva. Nel tempo si è percepito bene cosa fosse questo benessere, quanto potesse essere affine allo sfruttamento ad un impoverimento delle coscienze in cambio di un arricchimento materiale, ma questa è storia. La fame è dunque volata via fagocitata da un cibo sempre meno di qualità, ma che saziava e così sono volati via i castagni ed è mutato un territorio; è significativo ricordare che nel 1911 la produzione annua di castagne ammontava a 829 milioni di chili, e che quella del 2015 è stata di 20 milioni di chili, una discesa impressionante.
Sempre nello stesso anno però i dati ci dicono che l’Italia ha fame di castagne visto che ne ha importato oltre 32 milioni di chilogrammi (ne importavamo 6 milioni nel 2010) e quindi un mercato potenzialmente creatore di occasioni di lavoro e di importante manutenzione del territorio è trascurato. Parliamo di 80/100 milioni di euro di materia prima (consideriamo un prezzo di 2,5/3,5 euro al chilo per i marroni o le varietà ibride di grandi dimensioni); parliamo di un importo che potrebbe generare un reddito stagionale (2 o 3 mesi di raccolta) di circa 10.000 euro per 10.000 persone, sembra poco? Eppure anche del castagno non sappiamo trar vantaggio, e basta camminare in un bosco per trovare tutta questa incredibile ricchezza a marcire al suolo, vedere i rovi invadere il sottobosco, mentre la coltivazione del castagno favorirebbe anche la manutenzione di strade e sentieri, favorirebbe la raccolta dei funghi e generalmente rendendo più fruibile e accattivante il paesaggio dal punto di vista turistico. In tempi di crisi e carenza di risorse anche un ritorno al passato può essere la soluzione di molti problemi e tutti noi possiamo anche con la nostra spesa aiutare a far cambiare lo stato apparentemente immutabile delle cose.
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