(Seconda parte)
La recente attribuzione del Premio FARE PAESAGGIO nella categoria Programmazione, pianificazione e iniziative gestionali a Ostana mi porta a fare alcune considerazioni sul tema del recupero e degli interventi di trasformazione di un paesaggio così delicato nella sua straordinaria forza come è quello alpino. La vicenda di Ostana “tanto singolare quanto di grande interesse e ormai divenuta caso studio a livello internazionale, dimostra come piccole iniziative che riescono a trovare continuità nel tempo anche attraverso la riscoperta di un’identità culturale possano innescare virtuose sinergie pubblico-private che concorrono a recuperare due valori centrali del paesaggio delle terre alte: l’abitare e la bellezza” (Riccardo Giacomelli, Così si fa paesaggio alpino, http://ilgiornaledellarchitettura.com/web/2016/06/14/cosi-si-fa-paesaggio-alpino/). Su questi due temi e in particolare sul paesaggio come potenzialità per far ripartire un’economia e una ripresa sociale e dove, quindi la presenza dell’uomo diventa condizione e componente per la sua valorizzazione, si è basata la scelta della giuria di questo Premio, di grande interesse voluto dalla Provincia di Trento. Unico neo che crea ombre sulla imparzialità della scelta, è stata la presenza nella giuria dell’arch. De Rossi, protagonista indiscusso di tutte le trasformazioni e le nuove realizzazioni portate avanti in questi anni dall’amministrazione comunale delle valle Po.
Da molti anni ormai seguo e studio i temi del recupero delle borgate alpine, ad iniziare dalla ricerca sulle tecniche costruttive storiche e sui materiali utilizzati per le costruzioni, nell’ambito della tesi di specializzazione sulle borgate di Fenis in valle d’Aosta fino alle recenti esperienze nella Commissione locale per il paesaggio della Comunità montana della valle Po. In questo lungo percorso ho avuto modo di seguire e partecipare a dibattiti e convegni dove i relatori incentravano spesso le loro argomentazioni partendo dal concetto di recupero e su questo vorrei proporre anche alcune riflessioni a margine nella recente visita condotta a Ostana dove ho avuto modo di apprezzare e valutare diversi interventi sia sull’edilizia privata, ristrutturazioni di case nelle borgate storiche, sia su quelli nuovi promossi dall’ente pubblico particolarmente attivo in questi ultimi decenni.
Ho ripreso in mano alcuni testi e articoli scritti in questi anni sui lavori svolti ad Ostana che hanno dato vita ad una ricca bibliografia in merito, a partire da quanto pubblicato dall’Istituto di Architettura Montana (IAM) del Politecnico di Torino (http://areeweb.polito.it/ricerca/IAM/).
Interpretare correttamente tipologia, funzione, strutture, materiali e modalità costruttive dell’edificio sul quale si opera sembra essere l’assunto principale e maggiormente diffuso nel promuovere i criteri di cantieri sul patrimonio costruito. La conservazione degli elementi originari dell’edificio deve essere lo scopo primario dell’intervento volto alla conservazione di tale documento (perché anche l’architettura è un documento della memoria di una civiltà). Se vogliamo riproporre le parole di Dezzi Bardeschi dovremmo ricordare che le costruzioni esistenti si presentano come “un’immensa enciclopedia che la storia ci ha consegnato” anche se io preferirei utilizzare il termine stratificazione per indicare la complessità di conoscenze che hanno determinato la costruzione dell’edificio.
Gli architetti che promuovono un recupero consapevole sottolineano la necessità di rispettare con il proprio intervento i caratteri fondanti dell’edificio. Cito dal Manuale di buone pratiche di Ostana, realizzato dallo IAM: “Se le costruzioni esistenti sono come una grande enciclopedia, intervenire su di essa non vuol dire strapparne delle pagine ma saperla leggere. Per questo motivo si consiglia di evitare, ad esempio, il raddoppio delle maniche semplici o l’introduzione di tipologie estranee quali coperture a padiglione o, ancora, l’utilizzo del C.A.” quando si interviene su un edificato storico (http://www.uncem.piemonte.it/upload/148_10/Manuale_Ostana_LOW.pdf).
Il rispetto verso il costruito, di recente sottolineato e ribadito ancora da Francesco Doglioni in un incontro a Saluzzo, dovrebbe porre l’edificio come punto di partenza e di arrivo dell’intervento di recupero, e porre il progettista in secondo piano, in modo che rimanga ed emerga l’edificio e la sua conservazione e non l’intervento del progettista (http://www.architetto.info/news/recupero-e-restauro/francesco-doglioni-e-limportanza-di-conoscere-le-tecniche-costruttive-del-passato/). Non si tratta, quindi, di impedirne la ristrutturazione ma di svolgerla rispettando la preesistenza; la qualità di un intervento si nota dalla leggerezza con la quale si può vedere e riconoscere l’intervento stesso, dalla capacità di rispettare i caratteri originari introducendo nuovi elementi coerenti per forma e materiali. Ciò coincide con la semplicità e la linearità del disegno, evitando elementi superflui e focalizzando l’attenzione sulla qualità della realizzazione.
Ho percorso le borgate di Ostana con questi pensieri in testa e con queste convinzioni radicate nel mio percorso di studi e dell’attività lavorativa: molti di queste indicazioni le ho ritrovate nelle architetture ristrutturate di Ostana ma altre proprio no.
Il rifacimento della borgata Sant’Antonio perché di questo si tratta non di un recupero, in particolare per il nuovo centro polifunzionale, ha trasformato in modo radicale l’antica borgata: una nuova “pavimentazione” serpeggia tra le case, molte oggetto di interventi e altre ancora nel loro aspetto originario e su tutto campeggia il volume della nuova architettura. I registi dei nuovi interventi sono ancora i progettisti architetti Antonio De Rossi e Massimo Crotti. Il nuovo edificio riprende l’uso dei materiali tradizionali pietra e legno, elementi puntuali dai quali emerge la struttura possente in cemento armato con un sistema di copertura che enfatizza l’utilizzo di travi in legno che diventano anche pretesto per un segno architettonico di grande impatto.
Del sistema insediativo preesistente nulla è rimasto e del resto i progettisti affermano “il nuovo complesso riprende in chiave metaforica la spazialità e la matericità delle borgate alpine storiche sia attraverso un articolato sistema distributivo sia attraverso l’utilizzo in chiave innovativa delle tradizionali murature in pietra a vista”. Temo che questa chiave metaforica sia poco comprensibile e giustificabile in un contesto come quello della borgata di Ostana, una delle più significative per la struttura del suo insediamento, per il rapporto con il contesto e per il suo affaccio emozionante sul Monviso; l’edificio di nuova realizzazione si pone oggi come un fuori scala che emerge dai tetti delle piccole case intorno. Un gigante attorniato da una moltitudine di piccoli ΄nanetti΄ destinati alla radicale ricostruzione.
E poi tutta la borgata è attraversata dalla nuova pavimentazione che facilita l’accesso e la percorribilità nei passaggi, almeno nella bella stagione; peccato che non abbia avuto nella sua realizzazione la giusta attenzione nella posa dei conci, tutti molto regolari, tagliati con profili netti e disposti a creare geometrie “stonate” e casuali. Per fortuna il tempo smorzerà l’intervento e l’impatto che oggi mostra sull’insediamento storico.
Certo sembra difficile ritrovare le parole che ho letto nel Manuale citato che affermano “Gli interventi completamente ex-novo sono materia rara ed estremamente delicata per il territorio di Ostana. Preservare e nel contempo rendere riconoscibile l’armatura insediativa storica delle borgate.” E ancora “Il nuovo costruito deve saper riproporre le «grana» del costruito storico ovvero lo stesso tipo di spazio costruito: dimensione di manica, altezze, rapporto pieni e vuoti – e di spazio aperto – assemblamenti a borgata, stretti percorsi interni, spazi coperti comuni”.
Questa delicatezza che viene auspicata non sembra essere riconoscibile nell’intervento del “Lou Pourtour”; la grana del costruito storico riproposta attraverso la scelta progettuale dei singoli blocchi “autonomi”, unificati dalla copertura, non è convincente rispetto al legame con il costruito. Risulta vanificato dalle dimensioni imponenti del complesso. Ancora una volta non ci si è posti in secondo piano rispetto alla cultura storica, all’edificio e al suo inserirsi in un insediamento così caratterizzato storicamente come la borgata Miribrart. Ancora una volta non possiamo parlare di recupero del patrimonio architettonico ma di una riproposizione contemporanea di un’idea del patrimonio montano non del rispetto della sua stratificazione e componente storica.
Ed è un peccato perché questo sarà un luogo destinato ai giovani, alla cultura e alla creatività e forse anche al rispetto della memoria della civiltà di Ostana.
Vai alla prima parte dell’articolo
Testo e immagini: Silvia Beltramo
Letture consigliate:
Rivista dello IAM: ArchAlp. Ricerche per il territorio alpino (scaricabili dal sito http://areeweb.polito.it/ricerca/IAM/archalp/)
Antonio De Rossi et alii, Manuale delle linee guida e degli indirizzi tecnici per gli interventi di recupero ed ex novo, ottobre 2011
(http://www.uncem.piemonte.it/upload/148_10/Manuale_Ostana_LOW.pdf)
Francesco Doglioni, Nel restauro. Progetti per le architetture del passato, Marsilio, Venezia 2008
Luigi Dematteis, Giacomo Doglio, Renato Maurino, Recupero edilizio e qualità del progetto, Primalpe, Cuneo 2003
Del sistema insediativo preesistente nulla è rimasto e del resto i progettisti affermano “il nuovo complesso riprende in chiave metaforica la spazialità e la matericità delle borgate alpine storiche sia attraverso un articolato sistema distributivo sia attraverso l’utilizzo in chiave innovativa delle tradizionali murature in pietra a vista”. Temo che questa chiave metaforica sia poco comprensibile e giustificabile in un contesto come quello della borgata di Ostana, una delle più significative per la struttura del suo insediamento, per il rapporto con il contesto e per il suo affaccio emozionante sul Monviso; l’edificio di nuova realizzazione si pone oggi come un fuori scala che emerge dai tetti delle piccole case intorno. Un gigante attorniato da una moltitudine di piccoli ΄nanetti΄ destinati alla radicale ricostruzione.
E COSI!!
Lasciamo perdere che Lou Pourtoun ha ricevuto diversi riconoscimenti nazionali e internazionali in molti premi. Lasciamo perdere che è stato pubblicato su diverse riviste di architettura specializzate. Lasciamo perdere che le preesistenze non esistevano più, ridotte a macerie e rovine, e che quindi era impossibile procedere a una operazione di restauro. Mi concentro su questa frase, riferita al premio Fare Paesaggio della provincia autonoma di Trento: “Unico neo che crea ombre sulla imparzialità della scelta, è stata la presenza nella giuria dell’arch. De Rossi, protagonista indiscusso di tutte le trasformazioni e le nuove realizzazioni portate avanti in questi anni dall’amministrazione comunale delle valle Po”. Bene, il prof. De Rossi è uscito dai lavori della giuria, come riportato a verbale, mentre veniva trattato il tema del premio a Ostana, e non al solo progetto de Lou Pourtoun. Per questa illazione totalmente gratuita, sarà mio compito sentire l’ufficio legale del Politecnico di Torino, a salvaguardia dell’istituzione che rappresento e che ha partecipato ai lavori di rivitalizzazione di Ostana, riconosciuto come un caso importante di riqualificazione in territorio alpino