La vita è una cosa seria, questo potremmo dedurre il pensiero che scorre nelle vene di questa società celato dietro ai molteplici divieti di svolgere attività ludiche nei luoghi pubblici delle nostre comode e sicure città.
Tanto sicure che, grazie ai continui e consueti sforamenti di soglia dei vari inquinanti atmosferici, oltre 91000 italiani ci lasciano letteralmente e prematuramente le penne a causa dell’inquinamento atmosferico; numeri di una guerra non dichiarata. Non pensate però che siano le elevate concentrazioni di polveri sottili e ozono ad inquietare i sonni di molti dei nostri concittadini Sindaci, perché ben altri sono i problemi all’ordine del giorno, altre le emergenze da affrontare. Ed è così che in molte città italiane spuntano come funghi i divieti che ci raccontano di una società sempre più vecchia e intollerante. Si tratta del divieto di giocare a pallone, di correre felice e spensierati dietro ad una palla, tutto questo nel paese tra i più osservanti del dio pallone.
Insomma il gioco, questo catalizzatore d’entusiasmi, che mischia e livella, scontra e appacifica e che soprattutto smuove dalle recenti sedentarie pigrizie virtuali, è il colpevole da combattere a spada tratta.
Chi ha qualche anno e capello bianco si ricorderà ancora di partite di calcio tra ragazzini sui marciapiedi delle città, quelli larghi almeno 1,5 metri, di settimane saltellanti, di nascondino, di rialzo, tutti episodi di una gioia infantile che costruiva le basi per le amicizie durature o dei primi occhi dolci, e tutto questo lo si faceva contornati da solide auto stile 127, alle quali una pallonata di un ragazzino avrebbe fatto il solletico.
Ma ora siamo nell’era degli allarmi e del lusso che viaggia su 4 ruote, sicuramente anche della strafottenza dilagante che poco aiuta a diradare le tensioni, siamo in un mondo in cui il privato conquista spazi al pubblico, in cui l’io è più significativo del noi.
Senza scomodare la convenzione sui diritti del fanciullo, violata per problemi decisamente più importanti, o riflessioni sui massimi sistemi, rimane il fatto che crescere in un ambiente in cui ci si incontra, e il gioco è sinonimo di incontro, è utile per creare relazioni e per comprendere come ci si deve interagire. Forse l’elemento che dobbiamo mettere sul tavolo è che il ritrovarsi in strada o in un campetto per giocare insieme, per correre e non stare seduti, è un motivo d’interesse pubblico per combattere, quello si con convinzione, la pervicace e perniciosa società dei singoli, virtuali generatrice di patologie precoci nel fisico e nell’animo. Per non perderci in una società d’individui sempre più rinchiusi in stanze separate e viventi d’esperienze immateriali, lasciamo giocare a pallone. e non solo, i bambini, portiamoli a camminare nella natura, riscopriamo insieme le “sensazioni di un tempo” e smentiamo la fobica, e senza futuro, visione espressa nelle ordinanze di Sindaci sedentari, condividiamo l’idea che questo è un paese per bimbi.
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