Sognavo di salire quassù per godermi la luna ancora piena mentre si levava da una pianura carica di foschia, illuminando la chiesetta di Madonna della Neve con il suo disco pallido. Sognavo di aspettare il buio e di vedere la Via Lattea sopra i Giganti di roccia. Sognavo di vedere le sorgenti del Po brillare con le luci del cielo di notte.
Ma la nebbia di Pian del Re ha modificato queste mie aspettative, rammentandomi che non si deve mai pianificare nulla, bensì vivere la bellezza del momento. La nebbia è un’immancabile caratteristica della Valle Po che la rende più affascinante e misteriosa. Essa fluttua, si disperde, nasconde e svela in modo casuale e volubile. E’ l’impalpabile sipario del Re di Pietra e dei suoi mastodontici gregari, che all’improvviso emergono dalla bruma diventando i protagonisti assoluti di questo grandioso pianoro.
Sono quasi le otto di sera. Arrivo qui direttamente da Torino. E’ mercoledì, domani sarà il mio compleanno ed ho scelto di viverlo in alto, immersa nei panorami a me più cari e nel meraviglioso silenzio rotto soltanto dai suoni della natura. Il giorno non è ancora morto, e i prati sono verdi e ricchi di fiori. Il ronzio delle api si mescola con la melodia argentina del giovane Po. La chiesetta di Madonna della Neve va e viene fra le volute di nebbia. Se non fossi mai stata quassù, potrei credere che non esistano montagne intorno a me.
Raccolgo le mie cose e mi avvio nell’ostello: a breve verrà servita un’ottima polenta, accompagnata da ogni possibile contorno, persino la marmellata di lamponi. Oltre a me, solo un piccolo gruppo di pensionati svizzeri pernotterà qui. Mi accomodo ad un tavolo vicino a una finestra. Cerco sempre di stare vicino ad una finestra. Nei bar, sull’aereo. Mi piace guardare fuori, osservare cosa succede, constatare cosa fa il mondo in quel momento.
Di lì a poco, mentre gli ultimi raggi del sole annunciano il crepuscolo, uno squarcio si apre tra le nebbie, rivelando un cielo ancora azzurro e soprattutto le sagome del Monviso e del Viso Mozzo, investiti dai colori infuocati del tramonto. E’ questione di un attimo, giusto il tempo di scattare poche foto, osservata pigramente dal cane dell’albergo che lancia qualche abbaio poco convincente. Subito dopo la nebbia irrompe ed interrompe la scena, prendendo definitivamente il sopravvento sulle montagne e sulla luna che sta per levarsi. Preparo lo zaino per domani mattina e mi corico. Domattina voglio godermi l’alba al lago Fiorenza. Voglio essere lassù prima delle sei, quando il sole sorgerà e tingerà rapidamente di rosa il Monviso ed il Visolotto. Dove andrò dopo, si vedrà. L’idea iniziale era quella di salire con alcuni amici su Punta Udine, ma una serie di eventi imprevisti mi vede sola. Da un lato ciò mi rende timorosa, dall’altro fiduciosa nel giorno che deve ancora venire. Il rumore della cascata del Po in sottofondo mi rasserena facendomi presto prendere sonno.
La sveglia suona presto. Guardo fuori dalla finestra della mia camera. Alle cinque le prime luci rendono inutile l’uso della pila frontale. Non c’è una nuvola, il cielo è terso e tutte le montagne sono lì ad aspettarmi, per farsi ammirare nella loro assoluta e millenaria staticità intorno alla quale ruotano da sempre le stagioni e si susseguono in fila i nostri anni. Mi sento come una meteora che lascia per un attimo una scia luminosa in questo Assoluto che permane e permarrà per innumerevoli ere, e con questo pensiero mi avvio. L’aria è fredda. Giunta alle sorgenti del Po una incredibile fioritura gialla fa risaltare la bellezza del Re e del suo Principe. La luce radente fa brillare il tortuoso nastro d’acqua del giovane fiume. Arrivo al lago Fiorenza quando il sole sta oltrepassando l’altezza dei pendii che ad Oriente si affacciano sullo specchio d’acqua. La scena davanti ai miei occhi è così perfetta da non sembrare vera. Il Monviso ed il Visolotto si specchiano nel lago senza un’increspatura. Le loro cime iniziano via via a tingersi di rosa , calamitando il mio sguardo. Una nera salamandra Lanzai si muove goffa e lenta sul sentiero. Poiché sono sola, prendo una brioche dallo zaino, la poso su un sasso e la decoro con le candeline. Non c’è scenario migliore di questo per festeggiare i miei anni.
Resto a contemplare lo spettacolo assolutamente gratuito e sempre nuovo che la natura mi offre, felice di questo regalo. Sono assorta, ma il mio sesto senso mi dice che qualcuno dall’alto mi sta osservando: alcuni camosci, intenti a bere sulle altre sponde del lago, sono stati allertati dalla mia presenza e si sono allontanati risalendo i pendii della conca. Sicuri dalla loro postazione, guardano curiosi me che guardo loro, poi con rapidi balzi si dileguano.
Mentre penso a dove andare sola soletta, ricevo un messaggio dell’amico Marco che mi annuncia che lui ci sarà, e che salirà al rifugio Giacoletti direttamente dal Coulour del Porco, la via più diretta da Pian del Re. Sono contenta di condividere questa giornata con un caro amico, quindi mi avvio verso il mitico rifugio percorrendo la via dei laghi in questo mattino incredibilmente limpido.
Mi fa uno strano effetto camminare da sola in montagna: in realtà era da tanto che desideravo essere qui, sola con i miei pensieri, ascoltando il mio respiro ed il battito del mio cuore e ammirando queste meravigliose montagne che sento far parte di me. L’ottimismo e la fiducia in me stessa prevalgono sulle remore: mi godo la salita, e mi lascio rapidamente alle spalle il lago Fiorenza. Non sono nemmeno le sette, ma il sole ha preso il sopravvento, pur essendo l’aria ancora frizzante. Risalgo il sentiero che di lì a mezz’ora mi conduce al lago Chiaretto.
Il Colle dei Viso è ben visibile di fronte a me, e questa immagine non mi lascerà per buona parte della via. Il bellissimo lago turchese dalla forma a cuore è purtroppo ancora in ombra, e questo non rende giustizia al suo proverbiale ed unico colore. Lo osservo ancora per qualche minuto, quindi proseguo sulla ripida cengia erbosa che si inerpica in direzione del rifugio Giacoletti. I numerosi cespugli di rododendro hanno superato l’apice della fioritura; altre specie stanno iniziando a colorare di giallo e di azzurro i pendii d’erba. Guardo la pianura e la vedo ricoperta da una coltre di nubi che si tingono di viola e di giallo quando i raggi del sole riescono a filtrare attraverso di esse.
Numerose marmotte salutano il nuovo giorno, crogiolandosi immobili alla luce. Qualcuna fischia. Da lì a poco sono al lago Lausetto. La prima luce del mattino lo fa sembrare parte integrante dell’ambiente, tanto da rendere al pari di un miraggio il riflesso delle rocce nelle sue acque. Continuo a salire e appare anche il lago Superiore. Da lontano, una piccola tenda rossa spicca nell’insieme da cartolina: qualcuno ha dormito qui.
I baluardi rocciosi di Punta Gastaldi e Punta Roma sono lì, imponenti e rossastri. Scariche di pietre provenienti dai vicini canaloni riecheggiano secche, mescolandosi alle voci degli alpinisti che ne stanno tentando la scalata. Di fronte a me le Rocce Alte del Losas mi dicono che il rifugio non è lontano.
Attraverso ora una breve pietraia. Le marmotte mi zigzagano intorno lanciando l’allarme per la mia presenza.. Riprendo a salire, ora il Monviso mi mostra la sua faccia di spigolo, la mia preferita. Ancora pochi tornanti e scorgo la catena di bandierine ormai sbiadite che annunciano il rifugio. Sono arrivata. Le otto son passate da poco. Una coppia di escursionisti francesi che sta facendo il giro del Re di Pietra mi scatta una foto. Con grande soddisfazione entro a salutare i custodi del Giacoletti, e leggo il messaggio di benvenuto sulla lavagnetta: “Il saggio accetta ciò che il presente gli dona, senza cercarlo con i propri desideri”.
Un’aureola di nuvole circonda la sommità del Monviso. Mi cambio la maglia e mi avvio verso l’imbocco del canalone per andare incontro a Marco. C’è tanta neve , anche all’attacco della via per Punta Udine. Intanto si leva la nebbia lasciando intravedere solo più il rifugio. Tutte le montagne scompaiono. Marco appare come un fantasma dopo circa mezz’ora. Fa freddo. Entriamo nel rifugio e la stufa è accesa. E’ bello raccontare e raccontarsi, sfogliare i libri della piccola biblioteca e bere un the caldo davanti al fuoco. Ogni tanto arriva qualche escursionista che a breve ridiscende. Noi stiamo lì ancora un po’, io soffio finalmente le mie candeline su una fetta di crostata. Mangiamo una polenta che potrebbe essere migliore, ma va bene così. La nebbia non scende, e il tempo passa. A malincuore abbandoniamo il caldo tepore per avventurarci fuori al freddo, in discesa dal Coulour del Porco dove la neve è ancora davvero così tanta che il 18 luglio sembra il 18 gennaio.
All’altezza dell’imbocco del sentiero del Postino ci viene la tentazione di andare fino al Buco di Viso, ma si allungherebbe troppo. Pian del Re è ormai vicino, con lo stesso mood della sera prima.
Ci salutiamo, contenti di aver condiviso questa giornata speciale. Sono felice anche se non ho visto la luna e la via lattea. Tanto ritornerò.
Testo ed immagini di Elena Cischino, tutti i diritti sono riservati
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