Chi percorre la strada che da Barge porta a Revello costeggiando il Montebracco, attraversa un paesaggio storico e ambientale eterogeneo e di grande interesse. La percezione della vista si apre verso la pianura saluzzese superando i boschi residui di Staffarda, verso la nuova economia dei frutteti estensivi, con la corona delle pendici scoscese del Montebracco che protegge le numerose frazioni di Envie, fino all’ultima propaggine sulla quale sorgeva il castello di Revello, del quale oggi rimangono alcuni resti nei percorsi boschivi che si intrecciano alla base della montagna.
Una montagna di uomini e di religiosi, si insediarono qui i monaci cistercensi, tra Staffarda e Rifreddo, e i certosini alla Trappa; un paesaggio storico fortemente caratterizzato, tra castelli (Barge, Envie e Revello), borghi antichi di formazione medievale con ricetto fortificato come nel caso di Envie e in parte di Revello, torri, cappelle e pievi romaniche, San Giovanni di Barge, Santi Marcellino e Pietro di Envie, San Giovanni e San Massimo di Revello. I campanili di questi edifici, spesso unica testimonianza ancora presente della loro storia antica, connotano il paesaggio, a volte come silenziosi emblemi di una religiosità non più presente ma alla quale tanti rivolgono ancora il loro profondo rispetto.
In questo panorama storico e religioso molto articolato che si definisce tra XI e XIII secolo si inserisce anche la chiesa romanica di San Massimo posta fuori dall’abitato di Revello in direzione di Envie nella parte pianeggiante dell’insediamento ora contornata da frutteti e depositi per la frutta. Si erge, a ridosso di un cascinale di imponenti dimensioni, con la chiesa nello stato di rudere, priva della copertura e con i muri perimetrali e la facciata in parte in crollo. Il campanile staccato dalla chiesa si eleva per cinque livelli e non mostra evidenti collassi strutturali, ma l’interno risulta inagibile.
Triste storia quella della chiesa di San Massimo che versava già in pessime condizioni nella prima metà del XVII secolo quando il vescovo di Saluzzo, Francesco Agostino Della Chiesa, nella sua visita pastorale dettava le direttive per ripulire i muri e il tetto dagli arbusti e dalle ramaglie. Probabilmente a seguito della visita del vescovo, la chiesa venne restaurata costruendo un nuovo sistema di copertura che appoggiava sulle lesene verticali delle pareti, e rifatta parte della facciata.
L’analisi dell’edificio è assai complessa complice anche la difficoltà di accesso dell’area piena di arbusti. Il prospetto nord è quello meglio conservato; presenta la partizione a specchiature tipica dell’età romanica, con una monofora ad arco che alterna conci lapidei con elementi in laterizio che costituiva l’ingresso laterale all’edificio. La muratura è mista in mattoni di riuso (nell’XI secolo si riutilizzavano i mattoni di epoca romana ridotti in pezzi), e conci litici sbozzati disposti in modo da avere un andamento regolare dei corsi. Alcune parti di muratura disposta a spina pesce, in facciata, in ciò che rimane dell’abside e nel prospetto laterale, testimoniano l’antichità della chiesa.
Il campanile romanico presenta l’usuale progressione delle aperture, dalle strette feritoia, alle monofore fino alla bifora nella cella campanaria. La bifora è suddivisa da una colonnina centrale in pietra con un capitello a stampella decorato con simboli geometrici e teste antropomorfe. Ogni piano è segnato da un fregio laterizio di otto archetti pensili e da un filare a dente di sega che segna ogni livello. Ma ora il campanile romanico che caratterizza così fortemente il paesaggio, che tutti notano passando con la macchina sulla vicina statale, contornato dai ruderi della sua chiesa, è area di raccolta differenziata dei rifiuti. Il comune di Revello ha pensato che il posto migliore per disporre i cassonetti dei rifiuti fosse a fianco di un muro di una chiesa dell’XI secolo, procedendo anche ad una recente ripavimentazione dell’area. Dei solerti privati hanno appeso una scopa e paletta (con chiodo sempre sulla muratura romanica! sigh!) con opportuno cartello che indica di mantenere pulita l’area. Questo gesto di estrema civiltà che tutti apprezziamo, lascia perplessi se si pensa che tanta attenzione non è rivolta all’edificio storico, tutt’altro.
Dobbiamo, come sempre, attendere il non auspicato crollo rovinoso di ciò che rimane dell’edificio e il conseguente coro di giustificazioni a seguire, la condanna dell’incuria, la ricerca delle responsabilità, così come accadde, citando un esempio famoso, con la caduta della torre di Pavia nel lontano 17 marzo 1989. Nessuno è mai responsabile nel rimbalzo delle accuse, ma noi cittadini dovremmo recuperare un senso civico verso un patrimonio comune che esprime la nostra storia, la memoria della nostra civiltà, spesso presa come vessillo da sbandierare contro paesi e popolazioni che negano distruggendo questo patrimonio con atti plateali che rimbalzano nei nostri computer, televisori e telefonini…
Sarebbe importante riconquistare quel nesso critico tra patrimonio culturale e democrazia, che dai microfoni di Radiotre nella trasmissione Tutta la città ne parla, sottolineava Tomaso Montanari, quel concetto di patrimonio artistico che non è un lusso per pochi, non è lo svago della domenica pomeriggio, non sono le code fatte per entrare nell’ultima mostra pluripubblicizzata, ma è l’essenziale per la nostra vita, per la nostra comunità, per la democrazia. Il patrimonio e il paesaggio storico sono i luoghi (non fisici o per lo meno non solo quelli) della nostra memoria, della storia che abbiamo vissuto, di ciò che abbiamo prodotto e mutato.
Ricordiamo, andandone fieri, che l’Italia è l’unico paese che ha tra i principi fondamentali nella Costituzione repubblicana, all’art. 9, la tutela del patrimonio storico e artistico della nazione, questo, riprendendo ancora le parole
di Montanari “non per ragioni di estetica ma perché uscendo dalle rovine della Seconda guerra mondiale avevano capito che il patrimonio storico è il vero nesso della democrazia”.
E allora… cercando di recuperare quel nesso, manteniamo e recuperiamo la nostra storia fatta di piccole chiese, di cascine agricole abbandonate (come quella di fronte alla chiesa di San Massimo)e di molto altro ancora, e rispettiamo, non solo la pulizia “dell’area raccolta rifiuti”, ma usiamo la scopa per pulire dai rovi la nostra memoria collettiva!
“Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro” (Luis Sepulveda), ma anche: un popolo senza memoria è un popolo senza storia.
Testo: Silvia Beltramo
Consigli per la lettura e per l’ascolto:
T. MONTANARI, Privati del Patrimonio, Torino 2015
e il blog dell’autore: http://articolo9.blogautore.repubblica.it/
Per ricordare Khaled Asaad, l’archeologo siriano che ha dato tutta la sua vita per Palmira, Radiotre, Tutta la città ne parla
http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-a78e5b26-0a2f-4e3b-b024-f918a75f7f72.html#sthash.OGAzhhDX.dpuf
Segnaliamo dell’autrice:
PER I CASTELLI E LE TORRI DELL’AREA DEL MONTEBRACCO:
– Tra torri e campanili: ricerche sul romanico saluzzese (XI-XII secolo), in corso di stampa
– Le fortificazioni rurali del Saluzzese: primi risultati di una ricerca, in A.A SETTIA, L. PATRIA, R. COMBA et alii, Caseforti, torri e motte in Piemonte (secoli XII-XVI), «BSSSAACn», n. 132 (2005), pp. 195-212.
– Testi, in Viglino M., Bruno jr A., Lusso E., et alii, Atlante castellano, strutture fortificate della provincia di Cuneo, Istituto Italiano dei Castelli, Torino 2010, pp. 54-104, 108-118, 121-122, 137-140, 143-144.
– Envie, in Borghi nuovi. Paesaggi urbani del Piemonte sud-occidentale XIII-XV secolo, a cura di R. Comba, A. Longhi, R. Rao, Cuneo 2015, pp. 291-294.
PER L’ARCHITETTURA RELIGIOSA:
– Il monastero cistercense femminile di Rifreddo: analisi stratigrafica della facciata, in R. Comba (a cura di), Il monastero di Rifreddo e il monachesimo cistercense femminile nell’Italia occidentale (secoli XII-XIV), Cuneo 1999, pp. 237-256.
– Sopravvivenze medievali del complesso monastico del Montebracco, in R. Comba, G.G. Merlo (a cura di), Il fascino dell’eremo. Asceti, certosini e trappisti sul Montebracco: secoli XIII-XVIII, «BSSSAACn», n. 142 (2010), pp. 153-165.
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