Finalmente sono fioriti i castagni! E l’umido odore dolciastro e penetrante si sente nei boschi ai piedi delle nostre montagne. In verità il primo posto dove l’ho sentito quest’anno come al solito è stato aprendo un alveare. Chissà dove fuori dalla portata dei miei occhi e del mio naso le bottinatrici avevano trovato qualche castagno fiorito ed il profumo delle abbondanti scorte di polline, ancor prima che di nettare, si avvertiva appena sollevato il coperchio dell’arnia. Quando è puro il miele di castagno si mantiene liquido naturalmente, è di colore bruno scuro e di sapore invariabilmente amarognolo a causa del tannino. Il miele di tiglio invece cristallizza giallo chiaro ed è dolce e profumato da risultare per alcuni nauseabondo. Spesso castagni e tigli crescono negli stessi boschi e la loro fioritura è quasi contemporanea ne risulta quindi un miele millefiori o più propriamente biflorale che ha i suoi estimatori ed è tipico di alcuni settori delle Alpi occidentali. Dalla miscela dei due mieli così diversi risulterà cristallizzato ma non duro, di colore marroncino e di gusto piacevole poiché il dolcissimo tiglio tempera le asprezze del castagno. Il raccolto di miele di castagno più o meno puro è uno dei più abbondanti che solitamente facciamo sui nostri monti e spero che quest’anno non finisca come è stato per il miele d’acacia che invece, nonostante la buona fioritura, ma a causa del tempo avverso, è stato scarsissimo. Quest’albero sopporta bene i geli invernali ma a primavera tarda a schiudere le gemme perché aspetta temperature miti. Anche per maturare i suoi frutti necessita di calore. Le sue esigenze termiche ne limitano la diffusione a quote inferiori agli 800 m sulle Alpi ed ai 1000-1300 m sugli Appennini ed alle latitudini a Sud delle Alpi ed ai monti intorno al Mediterraneo. Non sopporta suoli calcarei e si diffonde in quelli subacidi ed acidi, perciò in Italia, ancorché coltivato in tutta la penisola, e diffuso sul versante tirrenico ed occidentale. Le regioni più castanicole sono infatti Campania, Sicilia, Lazio, Piemonte e Toscana. Il castagno europeo, Castanea sativa, è presente dai Pirenei ai monti dell’Atlante in Marocco ad ovest fino al Caucaso ad est. Più ad oriente troviamo le specie cinesi e giapponesi C. crenata e C. mollissima e nel Nordamerica C. pumila.
Nella sua famiglia botanica il castagno è il parente strano. Le altre Fagaceae, querce e faggi, hanno frutti amari e ricchi di grassi appetiti solo dai maiali mentre le castagne sono amidacee e dolci e ciò ha fatto sì che oltre che nei boschi il castagno sia diventato una pianta coltivata (questo infatti vuol dire sativa) con un gran numero di varietà selezionate nel tempo e propagate per innesto. Tutti in famiglia hanno fioriture poco appariscenti, i fiori maschili distinti da quelli femminili, affidano al vento il compito dell’impollinazione ed hanno perso la capacità di produrre nettare per attirare gli insetti. Quello strano del castagno invece non ha perso la capacità di produrre nettare ma solo nei fiori maschili che sono anche molto appariscenti tanto che i boschi di castagno in fiore cambiano colore per alcune settimane e da verdi si fanno biondi come il grano. I fiori femminili che stanno alla base degli amenti maschili invece non attirano gli insetti così tutte le api che visitano un castagno in fiore solo accidentalmente ci passano sopra e li impollinano. La maggior parte della fecondazione delle castagne avviene così grazie al vento. È inoltre specie autosterile e per essere fecondata abbisogna di polline di varietà diverse. Querce e faggi hanno radici profonde e fittonanti, producono cioè una radice principale che si pianta profondamente in verticale nel terreno e conferisce grande stabilità alla pianta ed al terreno su cui cresce. Quello strano del castagno abortisce precocemente il fittone e sviluppa un apparato radicale superficiale che lo rende instabile quando cresce su pendii accentuati e soggetto ad essere sradicato dai venti. Anche il suo legno lo distingue dai suoi simili infatti è meno pesante e più ricco di tannino quindi meno pregiato come legna da ardere. Una volta spaccato va infatti esposto per almeno una stagione alla pioggia che lo lavi e riduca le incrostazioni che lascerà nelle canne fumarie. Mentre i suoi cugini hanno rami rigidi e contorti, una volta tagliato quest’albero produce polloni vigorosi e dritti che da giovani sono molto flessibili ed utilizzati per piegarli in bastoni da pastore o per intrecciare gerle e ceste rustiche. Per far ciò si utilizzavano, prima dell’avvento della plastica, sia i polloni di un anno interi (in piemontese detti ferle) sia quelli di due o tre anni spaccati in lunghe strisce ed intrecciati in ceste squadrate antenate delle attuali cassette da frutta. Crescendo questi polloni si mantengono dritti e poiché il loro contenuto in tannino li protegge dai marciumi fa di loro degli insuperabili pali per vigne, frutteti ed il materiale di elezione per le opere di consolidamento dei pendii con opere di ingegneria naturalistica. Dai fusti più grandi si ricavano poi ottimi travi per tetti o legno apprezzato per mobili ed infissi, utilizzato per assiti e palchetti rustici. A fine Ottocento si sviluppò in Francia e si diffuse in Piemonte l’industria dell’estrazione dal legno di castagno del tannino per la concia delle pelli, per l’industria delle vernici, quella alimentare e farmaceutica. Tutt’oggi ha sede nel monregalese uno dei leader mondiali di questo settore. È sicuramente per i suoi frutti che il castagno si è diffuso ben oltre i suoi confini naturali. Infatti le castagne hanno costituito la base dell’alimentazione delle popolazioni di media montagna fino alla metà del secolo scorso ed hanno modellato il paesaggio e la cultura materiale di quei popoli. Si pensi agli essiccatoi: edifici a due piani separati da un graticcio su cui si accumulavano le castagne mentre sotto si manteneva acceso un piccolo fuoco il cui fumo era lasciato filtrare dalla copertura del tetto. I balconi delle case avevano al di sopra un graticcio di stecche di legno lungo quanto il balcone su cui si facevano seccare le castagne. Io ne ho visti ancora in Val Pellice, non so se fossero diffusi in altre valli. I castagneti da frutto venivano poi mantenuti puliti e sfalciati per facilitare la raccolta, i grandi alberi secolari dal tronco contorto erano distribuiti ben distanziati sui prati a disegnare un paesaggio che ormai troviamo solo di rado nascosto dal bosco ceduo da legna che ha soppiantato le coltivazioni negli ultimi decenni. Non dobbiamo dimenticare che i boschi che oggi vediamo fitti al piede dei nostri monti erano un tempo coltivati quasi ovunque e gli alberi erano più grandi e più radi. Una specie di continuo giardino in cui ogni fazzoletto di terra se non era zappato e seminato era tenuto a prato per foraggiare qualche bestia. Pare che il castagno fosse diffuso in Europa prima delle glaciazioni, il gelo l’avrebbe spinto a Sud portandolo quasi all’estinzione e poi con il retrocedere dei ghiacci avrebbe ripopolato il continente partendo dalla penisola anatolica e dal medio oriente ed è probabile che abbia accompagnato l’insediamento di Homo sapiens nel nostro continente. La diffusione della pratica dell’innesto ha consentito di farne una pianta coltivata e di selezionare molte varietà con caratteristiche diverse che oggi distinguiamo in due gruppi: i marroni e le castagne. I primi non solo sono più grandi, ma hanno la caratteristica di maturare quasi sempre un solo frutto per riccio e di restare interi una volta sbucciati: la pellicina vellutata che avvolge la parte commestibile non si infossa nella polpa a dividerla i diverse frazioni. Sono quindi adatti a produrre i marron glacé. Generalmente sono di difficile impollinazione e producono meno delle castagne. Queste ultime sono delle dimensioni più varie e venivano prodotte o seccate intere (le più grandi) o macinate in farina le più piccole e produttive ora quasi abbandonate. Il tramonto della castanicoltura è stato anche segnato dalla diffusione di due malattie che hanno falcidiato i vecchi castagni da frutto: il cancro del castagno ed il mal dell’inchiostro. Per combattere queste malattie si sono introdotti in coltivazione i castagni asiatici che resistono a queste malattie e si sono costituiti ibridi euroasiatici. Questi sono generalmente di pezzatura maggiore, maturano prima delle nostrane e hanno caratteristiche organolettiche inferiori. Negli ultimi anni il Piemonte è stato teatro di una piccola tragedia fitopatologica a lieto fine: la vicenda del cinipide. Dryocosmus kuriphilus è una minuscola vespa cinese le cui larve deformano gemme e fiori in galle rigonfie dove crescere, le piante perciò non portano frutto e col tempo deperiscono. Nel 2002, dopo essersi diffusa in Giappone e nel Nordamerica, colpì i primi castagneti in provincia di Cuneo e da lì si diffuse di valle in valle in tutto il Piemonte e poi in Italia con grande sconforto di castanicoltori. Nel 2005 gli entomologi agrari dell’Università di Torino importarono e lanciarono esemplari di Torymus sinensis una vespa ancora più piccola che depone le sue uova nelle larve del parassita galligeno eliminandone oltre il 90 %. L’utile insettino si è adattato a vivere nei nostri boschi ed i castagni sono ritornati a produrre. Dovrei concludere con ricette a base di castagne ma credo che sarà per un’altra volta.



Testo: Paolo Maria Cabiati
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