In montagna, la prima neve è un regalo che la natura ci fa puntualmente in questo periodo dell’anno, quando i boschi sono ancora dipinti con i colori autunnali e in pianura prevalgono le piogge. Ammirare il primo bianco è un rito che va compiuto non in un posto qualunque. Ognuno di noi ha nel cuore un personale luogo magico. Per me è Pian Paladino, nel vallone del Lenta. Per arrivarci bisogna aprirsi la via per i boschi, muovendosi su un terreno non sempre così agevole. Ma quando il bosco finisce, come d’incanto si apre un esteso altipiano dominato in prospettiva dalla catena del Monviso. Il candore della neve conferisce a questo posto l’aspetto di un remoto deserto bianco, dove i confini fra terra e cielo sfumano e le distanze paiono estendersi all’infinito, nel silenzio austero che domina il tutto. Mi piace tornare qui. Ogni volta la via è un libro aperto su quanto la natura ha compiuto nelle ultime settimane, dunque è diversa. Le piogge torrenziali ed i venti hanno spezzato parecchi rami e quasi ultimato la caduta delle foglie dai rami, creando uno spesso tappeto rossastro solcato da copiosi rigagnoli e pozze d’acqua. Ogni pietra, ogni tronco morto è ricoperto da un novello strato di muschio verde smeraldo. I funghi del legno prosperano in ogni fessura delle cortecce. Solo le gialle foglie delle betulle
resistono sui bianchi e contorti rami, spesso ricurvi per l’effetto della neve abbondante caduta lo scorso inverno. La prima neve si rivela dapprima in poche zone sempre in ombra, poi con prepotente leggiadria inizia a dominare il terreno con una presenza sottile, abbracciando la vita al suolo senza tuttavia nasconderla del tutto. Le gialle foglie di betulla volteggiano e macchiano di giallo la neve con la loro silenziosa caduta. Le mazze di tamburo fanno capolino in mezzo al candido manto. I massi erratici ed il loro licheni verdastri, innevati solo sulla sommità, trasformano il suolo in un immenso frottàge chiaroscuro. Impronte di cervi e caprioli si incrociano con le nostre, senza tuttavia svelare la presenza dei loro proprietari. Sul versante alla nostra sinistra, l’assolato e minuscolo pianoro di Pian Piai con le sue vecchie baite si distingue ancora verde. Più in basso le case alle Bigorie sono spolverate di bianco, così come i boschi che le sovrastano. Ogni tonalità di grigio, nero o marrone in presenza della neve annulla le proprie sfumature. Solo il bianco è tale; gli altri colori scuri si amalgamano e vengono percepiti come neri. Su questo grande quadro bicolore solo i gialli degli alberi latifoglie, isolati o in piccoli gruppi, risaltano sfacciati. In una giornata che doveva essere piovosa stiamo camminando baciati dal sole, e quando la punta del Monviso si erge al di sopra di una leggera cortina di nuvole, comunicandoci silenziosamente che siamo quasi arrivati, lo stupore per questo inatteso regalo è moltiplicato. All’improvviso, Pian Paladino. Bianco. Deserto. Silenzioso. Millenario. Solo una poiana plana su questa meravigliosa distesa per poi sparire oltre le Rocce Bianche. Nessun umano ha calpestato ancora la neve qui. Noi quattro siamo i primi ad avere questo privilegio. Ci incamminiamo verso la Croce Bulè. La
neve non è ancora così alta e compatta per calzare le ciaspole, che per questa volta restano appese agli zaini. Fa quasi caldo, ma dietro di noi inizia a salire pian piano una coltre di nebbia. I colori autunnali delle propaggini del bosco appaiono e scompaiono. Decidiamo di fermarci prima, mangiamo e intraprendiamo un anello tagliando trasversalmente l’altipiano per infilarci in una suggestiva faggeta ormai spoglia. Osservo il dedalo dei dritti tronchi velati dalla bruma sperando di veder apparire un capriolo o un cervo, ma non capita nulla. Il colore grigio delle lisce cortecce ben si presta a mimetizzare questi animali che, probabilmente, si celano fra gli alberi e ci osservano silenziosi aspettando di vederci scomparire oltre il bosco. Passiamo per i boschi incontrando vecchi ruderi di antiche meire e a poco a poco la neve si dilegua, lasciando il posto a prati di un verde ormai spento. Un melo solitario carico di frutti incrocia la nostra via di ritorno. Qua e là isolati aceri rossi catalizzano gli sguardi. Le nebbie vanno e vengono. L’autunno è ancora forte ma l’inverno, inesorabile, arriverà.
Testo di Elena Cischino, tutti i diritti sono riservati
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