L’anima è quella parte di noi che trova la sua dimensione ideale nella quiete del ricordo. In particolare ogni luogo natale, attraverso il filtro della memoria, può trasformarsi in un rifugio rassicurante.
Il nostro io più profondo conserva nitide sensazioni legate ai posti della propria infanzia e giovinezza che riemergono nei momenti più difficili, facendoci sentire protetti come in un nido che, anche da adulti, può ospitarci quando ci sentiamo vulnerabili.
La lontananza diventa spesso la scintilla che accende la nostalgia dei propri luoghi. Il viaggio per ricongiungersi con essi, breve o lungo che sia, è tutto un pregustarsi l’istante dell’arrivo.
Poco più di un’ora separa il mio paese dal luogo in cui vivo oggi. E percorrendo con l’auto la strada che ormai conosco a memoria, mi viene il batticuore mano a mano che il Monviso diventa sempre più vicino e grande, quasi protettivo.
Mi sento prossima a casa non appena si delineano all’orizzonte i profili della Castiglia ed il campanile di San Giovanni, adagiati sulla collina di Saluzzo, facendo ogni volta riaffiorare in me i ricordi dei tempi del liceo. Vedevo quel campanile dalla finestra della mia aula, e quell’immagine è rimasta così viva in me che istintivamente scelsi la prima casa nella mia attuale città anche perché dal salotto potevo ammirare una chiesa assai simile a San Giovanni. Seduta sulla poltrona, osservavo quell’edificio e sorridevo serena, rassicurata da quella similitudine e dai ricordi belli che essa mi evocava.
Lasciata Saluzzo alle spalle percorro i pochi chilometri che ancora mi separano dall’arrivo. Sulla mia destra ora si erge il castello della Manta con i suoi affreschi che tutti ci invidiano e vengono a visitare. A breve la sagoma della collina in direzione della Valle Varaita mi appare di fronte, con quel bozzo un po’ storto ma così familiare, e sempre più vicino. Percorro infine il lungo viale di platani e istintivamente guardo a destra verso la mia scuola elementare, l’oratorio dove ho trascorso molti pomeriggi spensierati, il campanile della mia parrocchia e più su, San Grato ed il Castello.
Sono a Verzuolo, il mio paese. Posteggio l’auto davanti alla casa di sempre dove abitano i miei genitori. Incrocio persone che mi conoscono da quando ero bambina. E’ bello constatare che nonostante il tempo passi le caratteristiche dei volti e le voci sono sempre le stesse.
Guardo la strada e subito mi ricordo delle tante sere passate qui a giocare a nascondino e a bandiera con tutti i bambini del quartiere. Con molti di loro sono rimasta in contatto, con alcuni ho un’amicizia quarantennale. Con tutti è piacevole ritrovarsi e fare quattro chiacchiere, prendere un caffè e a volte camminare lungo i sentieri dei nostri anni verdi.
Quei sentieri fatti da bambina con mio padre in cerca di muschio per il presepe e di castagne, o con mio zio per riempire le bottiglie con l’acqua della mitica fontana della Merlina, per lui la migliore del mondo. Quelle vie in comitiva percorse durante l’adolescenza insieme agli amici dell’oratorio, guidati da Don Gino e dagli animatori del Grest: che giocate epiche e che merende una volta arrivati alla meta! E quanti canti accompagnati dalla chitarra…
Chiudo gli occhi e le note paiono riecheggiare lontane mescolandosi infine con il fruscio delle foglie e con il ricordo del caratteristico odore delle caldarroste o dei pentoloni in cui si cuoceva la conserva.
Spesso amo ripercorrere quegli itinerari, in solitudine o con amiche e amici di sempre.
Alcuni sentieri fanno parte di me, ed il loro tracciato è come un disegno nell’anima dipinto negli anni della mia giovinezza. Percorrerli m’infonde la stessa sicurezza che mi dà il ripetere gesti e modi di dire appresi fin dall’infanzia in famiglia. Perché quelle parole, quei gesti e quei sentieri sono io, plasmata negli anni da esperienze e situazioni. Intricati rami di un nodoso albero che si sviluppano tuttavia dal medesimo tronco alimentato dalle stesse radici.
Risalgo per la strada che conduce al vecchio borgo della Villa, e oltrepasso quel che resta dell’antico arco di Porta Capalla, tirato giù per errore da un camionista distratto che chissà come finì lassù, ed ancora provo amarezza al ricordo che il comune decise di non ricostruirlo. Giro sulla destra costeggiando l’ala del mercato e prendo uno dei sentieri che conducono alla piccola chiesa di Santa Cristina, quindi poco più su mi soffermo a contemplare la veduta del castello e della millenaria parrocchiale del borgo da una spianata coltivata ad alberi da frutta.
Talvolta torno qui con i miei figli, e felice li vedo correre spensierati fra le piante.
Continuando a salire passo attraverso fitti boschi di castagno e scorci del Monviso in mezzo agli intricati rami fino ad arrivare alla chiesetta, e dall’alto del poggio guardo i castelli di Manta e Verzuolo che paiono fronteggiarsi illuminati dagli ultimi raggi di sole, mentre i fumi della cartiera rigano verticali il cielo nell’ora blu e le poderose sagome delle Alpi Marittime coronano la pianura. Proseguendo per il sentiero e tagliando per i boschi posso arrivare fino a Piasco, poi Venasca ed infine Valmala, il santuario-simbolo, testimonianza di un tragico eccidio di partigiani delle mie zone. Sono i sentieri della libertà, quella dagli invasori di un tempo, e quella dalle catene metaforiche che spesso ci imprigionano oggi.
O ancora, passando per il paese e costeggiando la biblioteca, risalgo l’altra parte della collina raggiungendo San Grato e, scendendo per i boschi, ritorno al vecchio borgo cogliendo altri scorci della chiesa e del castello. Qui in primavera è bellissimo ammirare le fioriture spontanee di viole, primule e giunchiglie. Sempre percorrendo le vie collinari posso arrivare a Saluzzo compiendo un suggestivo e lungo anello, accompagnata dal Monviso e dalla Bisalta, che vigilano silenziosi ciascuno su un lato del sentiero. Il Re di Pietra e la sua Regina, le due montagne che riconosco da qualunque angolazione.
Vitigni e suggestive case d’epoca decorano i poggi, mentre da lontano i familiari profili del castello di Verzuolo e delle piccole chiese di Santa Cristina e di San Bernardo mi fanno sentire a casa mia. Ed ancora alberi solitari, giardini secolari che si affacciano sulle grandiose catene delle nostre Alpi.
Poi Saluzzo appare all’improvviso con il famoso scorcio della sua Torre Civica e del campanile di San Giovanni.
Cammino e sono contenta di essere qui: i miei luoghi mi appartengono, ed io apparterrò ad essi per sempre.
Testo ed immagini di Elena Cischino, tutti i diritti sono riservati.
Bravissima Elena!! Hai descritto questi luoghi, i nostri luoghi…in modo stupendo!!!!