Spesso desiderare l’infinito all’interno del mio spazio interiore diventa una necessità.
Immaginare me stessa senza confini, libera di protendermi verso l’orizzonte, dove cielo e terra si abbracciano. Diventare l’espansione dei miei polmoni, bevendo l’aria con un ritmo lento e costante, essere il centro del mio cuore, pulsando all’unisono con i battiti della terra.
Volare con la mente mentre il vento fa fluttuare i miei capelli e mi fa allargare le braccia per sentirlo tutto ed il sole mi scalda la pelle del viso… Noi siamo natura e la natura ci parla, chiedendo spesso di venire liberata. Esistono luoghi dove la commistione fra noi ed essa sono forti, perché hanno saputo creare un equilibrio che le vede integrate. Per me uno di questi luoghi è il Mombracco, la montagna descritta da Leonardo Da Vinci, il massiccio roccioso che si erge come un baluardo sulla sconfinata pianura attraversata dal Po che diventa sempre più grande. L’ammasso di selvagge falesie che sfidano il cielo con la loro liscia e nuda verticalità insieme alle cave di pietre tagliate dall’uomo. Il millenario convento della Trappa incastonato sui fianchi di roccia strapiombante dai quali sono stati ricavati i blocchi per edificarlo. I segni preistorici delle sue coppelle che convivono con le più recenti tre croci di Envie, Sanfront e Rifreddo, a significare la costante ricerca di unione di noi con il divino.
Il Mombracco è per me il simbolo di una grande nave a tre polene – le tre croci – protese verso l’oceano della pianura, dove ogni abitato si riconosce e si armonizza in un unico immenso diorama guardato alle spalle dal Re di Pietra.
Il Monviso e il Mombracco. La montagna assoluta ed il suo privilegiato punto di osservazione. Falesie triangolari sul versante mostrato dal primo, tre croci sul secondo. Foreste di abeti e larici a forma di triangolo poste fra i due. Una simbologia perfetta alla quale ognuno di noi può attribuire il significato che preferisce. Giochi geometrici sparsi fra i labirinti di boschi di faggio e castagno che in autunno regalano alla terra uno spesso tappeto di rosse foglie che permane ancora in primavera quando i rami si popolano di nuove foglie verde brillante.
E poi le betulle. Tante, bianche e dritte betulle che decorano verticali il grigio ed il marrone del bosco nel primo inverno, disegnando ombre verticali sulla terra, come i pali di tante meridiane che scandiscono le ore da tempo immemore. Perdermi fra le betulle, accarezzare la loro sottile corteccia e ammirare il contrasto con le molte e rosse bacche di sorbo che colorano il bosco in inverno. Cogliere in mezzo a questi alberi l’invisibile legame che c’è fra di essi, che li trasforma in un’unica entità, silenziosa ma attiva, e che sembra voler integrare anche me insieme a loro.
Cammino ascoltando il ritmo dei miei passi e del mio cuore. Sento le foglie secche scrocchiare sotto i miei piedi. Guardo sul Monviso la neve mulinare in sbuffi bianchi e leggeri che dipingono il cielo per effetto del vento. Ammiro la mia terra dalle croci e riconosco Saluzzo, Staffarda, Sanfront, Rifreddo, Cavour, Pinerolo, il Superga.. Luoghi familiari che mi danno sicurezza in questo volo metafisico.
Il Mombracco è sempre lo stesso, con le sue croci e le sue transizioni stagionali che si ripetono da tempo immemore, ma ogni volta che vengo qui io non sono più la stessa, perché ritorno a casa più ricca di aria, cielo e terra mescolate insieme alla mia anima.
Testo ed immagini di Elena Cischino, tutti i diritti sono riservati.
Grazie Elena, queste “.cose” le ho vissute, tu le hai magnificamente espresse e raccontate.
Lorella