La neve possiede il segreto di ridare al cuore di noi adulti un alito di gioia infantile.
Si torna bambini al ricordo di come si osservava con puro stupore la neve per la prima volta, senza sapere cosa fosse, per poi meravigliarsi al contatto freddo ma soffice con essa, e gridare infine al mondo la propria allegria scoprendo quanto era bello giocare in questa cosa bianca.
Nell’infanzia si è felici con le cose più semplici, e questa magia ritorna anche in noi ogni anno quando l’inverno si affaccia nel tempo dell’autunno regalandoci la prima neve.
La prima neve è quella che tutti aspettano. E’ quella che trasforma i colori, le forme ed i contorni delle cose, che lima i rumori come una bianca sordina.
E’ la neve che arriva quando il suolo del bosco è tappezzato da uno strato di foglie dai colori accesi, quando i larici sono gialli come fiamme e, nelle fioriere, i gerani sono ancora fioriti nelle loro tonalità sfacciate.
L’inverno sfuma nell’autunno spolverando le alture ed i boschi di bianco, con una mano più generosa alle quote più alte ed un po’ meno a quelle più basse, quasi come se giocasse a fare il pittore che tira con il pennello il colore bianco così da toglierlo quasi del tutto in alcune zone per accumularlo in altre. Il risultato è un capolavoro artistico dove il bianco è come un velo che, salendo di quota, diventa coltre: giù le forme ed i colori si celano appena, in modo quasi vezzoso, mentre su il bianco domina lasciando soltanto intuire ciò che nasconde.
Insieme ad alcuni amici ho avuto il privilegio di vedere questa transizione cromatica a Pian Ciarm, sopra il caratteristico borgo di Ostana, in alta valle Po. Il cielo grigio era avvolto da nuvole dense e la neve cadeva lieve e silenziosa, ed il Monviso, circondato dalla nebbia, purtroppo non si vedeva. In questa scenografia, quattro cinghiali adulti risalivano la collina di fronte con sorprendente agilità e velocità, contrastando il bianco con le loro nere sagome come macchie di inchiostro su un grande foglio.
A tratti la neve diventava quasi pioggia, così per godermi la gioia di camminare sotto fiocchi più consistenti ho deciso di salire fino a Pian della Regina e di muovermi successivamente fino a Pian del Re e, possibilmente, raggiungere il lago Fiorenza. Mi piace camminare sulla prima neve, sentirla scricchiolare sotto gli scarponi, osservare le mie impronte, avvertire l’atmosfera ovattata intorno.
A Pian della Regina la fiera statua dell’aquila aveva le ali appesantite dalla neve, che si era accumulata già in qualche centimetro sulle panche e sui tavoli del rifugio. Solo i rossi petali dei gerani nelle fioriere e qualche giallo larice solitario emergevano dal bianco dominante e dalle tonalità di nero e di grigio dell’anfiteatro di montagne. I tetti di losa delle baite sembravano coperte in trama patchwork; le loro staccionate e camini parevano sormontati rispettivamente da sciarpe e cappelli bianchi. In questo scenario i grandi assenti erano l’austero Re di Pietra ed il Visolotto, che continuavano ad essere nascosti dalla spessa foschia e dalle nubi che risalivano dalla pianura, come è tipico in alta valle Po.
Continuava a nevicare; i fiocchi volteggiavano nell’aria posandosi esitanti e stanchi al suolo. Seguendo il corso del neonato torrente Po, risalivo il sentiero verso Pian del Re, lasciandomi alle spalle manciate di baite, una chiesetta alpina e gruppi di larici ed abeti.
I fiocchi erano sempre più spessi. Il facile sentiero si intuiva appena, e nel silenzio che mi circondava, mi muovevo con lentezza ed il paesaggio appariva remoto, persino più grande, quasi come se la neve avesse il potere di dilatare lo spazio ed il tempo.
Mi voltavo, e vedevo il tortuoso letto del Po, che pareva insinuarsi nel bianco come uno stanco serpente.
Lo strato di neve era violato soltanto dalle mie impronte e da quelle dei miei amici. Oltre a noi nessun altro stava camminando adesso. L’immagine di un albero solitario ed ormai spoglio mi proiettava avanti di quasi due mesi nel cuore dell’inverno. La prima neve non aveva ancora ricoperto tutto il suolo, dunque le pietre erano sormontate dal bianco solo in parte, creando dei singolari giochi di contrasto nel paesaggio.
Continuando a salire, ero quasi a Pian del Re. Come un’apparizione, il Po precipitava di fronte a me con un salto di quasi trenta metri da una balza rocciosa nera, in cima alla quale si trova la chiesetta della Madonna della Neve, che in questa giornata sembrava il particolare di un immenso Presepe. I fitti fiocchi di neve rigavano la visuale sull’acqua che scendeva impetuosa dividendosi in più rami. Il fiume cadeva scrosciando rumorosamente. La neve scendeva agile e silenziosa. Le gocce si incrociavano con i fiocchi in un turbinio rapido, che si fissava davanti ai miei occhi come un quadro futurista che materializza l’idea della velocità. Un acero ancora carico di foglie gialle si affacciava sull’acqua quasi inchinandosi sotto il peso che iniziava a manifestarsi sui suoi rami.
Ora stava nevicando davvero troppo e giunti alla chiesetta decidevamo di non proseguire oltre e di ritornare sui nostri passi, ripercorrendo le nostre stesse impronte.
Ad un tratto emergeva dalla foschia la sagoma del Viso Mozzo, completamente bianca e, poco dopo, appariva il profilo inconfondibile del Monviso. Uno squarcio di azzurro si apriva proprio sulla sua cima, ed un timido raggio di sole pennellava con un colpo di luce le pendici delle alture sopra Ostana.
L’apparizione durava poco ed il Re veniva nuovamente celato dalle nebbie che salivano veloci e spesse. Di sera il manto nevoso rifletteva la luce della luna piena che, fragile e lieve, illuminava il paesaggio.
E’ stato emozionante vivere questa prima nevicata nei paesaggi che amo e, camminando, constatare che la neve sembra sospendere tutto in attesa di qualcosa, quasi come se fosse un elemento preparatorio alla rinascita della primavera che prima o poi ritornerà.
Adesso è tempo di tirare fuori le ciaspole e godersi appieno questa stagione, confidando che la neve continui a cadere copiosa.
Immagini e testo: Elena Cischino
momenti da amare