Il mio racconto sul possibile stato d’animo dei due alpinisti che in prima persona vissero quella drammatica notte nel bivacco Falchi-Villata, non può non suscitare interrogativi in ciascuno di noi relativi alle cause scatenanti il crollo del ghiacciaio ed ai piani di prevenzione per evitare potenziali tragedie.
Alla base di ogni ragionamento, occorre rammentare che un ghiacciaio è un’entità in movimento; è la forza di gravità che lo fa muovere, come se fosse un fiume al rallentatore. Quando la forza di gravità prende il sopravvento, la massa di ghiaccio, di neve e di detriti comincia a muoversi verso il basso fino a raggiungere la zona di ablazione, cioè quella dove avviene la perdita di una parte di ghiaccio (fusione). Nei ghiacciaio alpini, il bacino di accumulo si trova ad alta quota dove le temperature sono più fredde, mentre la zona di ablazione è a quote più basse, dove le maggiori temperature favoriscono la fusione del ghiaccio.
Ritornando al paragone del fiume, quando la pendenza aumenta esso incrementa la sua velocità, si formano le rapide ed il flusso dell’acqua è notevolmente turbolento. Lo stesso accade per un ghiacciaio, ma invece della rapide si aprono i crepacci, e quando la velocità aumenta in modo considerevole, il ghiaccio si spezza ulteriormente dando origine alle seraccate, vere e proprie colate dei blocchi di ghiaccio.
Nello specifico le cause dell’evento del ghiacciaio Coolidge che, se fosse avvenuto durante il giorno, avrebbe potuto provocare una vera e propria strage di vite umane, vanno ricercate in una concomitanza sfavorevole di fattori: la presenza di un crepaccio rettilineo a circa tremiladuecento metri di quota in cui si localizzavano probabilmente acque di fusione ed un periodo di anomale precipitazioni piovose in alta quota, con zero termico sopra i quattromila metri. E’ emblematica l’immagine di due anni prima, dove il crepaccio è molto evidente.

Il crollo ha coinvolto una massa a forma di cuneo larga centocinquanta metri, lunga centoventi metri e con uno spessore massimo di circa trentacinque metri.
Ora, i distacchi di fronti di ghiacciai come quello Superiore di Coolidge rappresentano un rischio potenziale di particolare gravità anche per la rapidità con cui si sviluppano, spesso senza una fase preparatoria chiaramente identificabile ai fini della loro previsione. Questo caso ed altri simili sono stati ampiamente studiati al fine di mettere a punto dei sistemi di monitoraggio volti non tanto ad impedire nuovi crolli, bensì a prevederne con sufficiente precisione il momento del loro verificarsi e prendere quindi le misure precauzionali di evacuazione con il giusto anticipo.
Il ghiacciaio Whymper delle Grandes Jorasses in Val Ferret (Val D’Aosta), il cui seracco, per le sue caratteristiche morfologiche, è naturalmente soggetto a periodici crolli di masse di ghiaccio, presenta parecchie analogie con il ghiacciaio Superiore di Coolidge. Questo ghiacciaio è interessante in quanto su di esso, per la prima volta nelle Alpi, è stato realizzato un sistema di controllo di avanguardia coordinato dapprima dal Politecnico di Zurigo e, successivamente, dalla Fondazione Montagna Sicura, proprio per la riconosciuta situazione di rischio.
Il ghiacciaio Whymper è infatti situato ad una quota molto elevata (circa quattromila metri), per cui la fusione di ghiaccio e neve è molto ridotta, e la neve si accumula anno dopo anno trasformandosi in ghiaccio ed accrescendo la massa del seracco. A causa di questo, il peso della massa di ghiaccio aumenta fino a diventare, data anche la forte pendenza del versante, superiore alla coesione del ghiaccio stesso. A questo punto una parte più o meno grande del ghiacciaio inizia a fratturarsi fino a staccarsi. Nella stagione invernale, in presenza di accumulo nevoso a valle, un crollo anche parziale può innescare valanghe di grandi proporzioni con potenziali gravi effetti sul fondovalle. Il fenomeno è ricorrente, in quanto negli ultimi sessant’anni si registrano diversi eventi di crollo totale o parziale.
Il ghiacciaio sospeso è soggetto ad un naturale movimento, ma nelle fasi precedenti al collasso si è osservato che la velocità di movimento aumenta progressivamente. Disponendo di un certo numero di misure di spostamento è quindi possibile, con un modello elaborato e collaudato dal Politecnico di Zurigo su vari ghiacciai sospesi in Svizzera, ricostruire la curva di accelerazione e stimare il momento della caduta. La chiave del monitoraggio richiede quindi di poter misurare la velocità di alcuni punti del ghiacciaio ed in particolare della parte più instabile: sui labbri della frattura è stata posizionata una rete di paline, controllate con un teodolite da un punto di osservazione su una cresta distante poche centinaia di metri; sono stati inoltre installati dei sensori GPS appositamente sviluppati che permettono di disporre di dati di spostamento anche in condizioni di maltempo.
L’effettivo rischio per il fondovalle è stato valutato tramite scenari di rischio valanga elaborati dall’istituto SLF di Davos, Svizzera, ente con massima competenza in materia a livello internazionale. Gli scenari tengono conto di sia dei differenti possibili volumi di distacco che della stabilità del manto nevoso, prendendo in esame diversi casi: dall’assenza di neve (in condizioni estive) al manto nevoso fortemente instabile. In base a questi parametri vengono individuati i possibili scenari di invasione sul fondovalle, cui corrispondono differenti misure di protezione civile.
In particolare, l’efficacia di questo sistema di monitoraggio è stata provata sia nel 1997, quando il crollo si verificò con soli due giorni di scarto rispetto alla previsione, che in occasione degli eventi del periodo agosto-settembre 2014. In quest’ultimo caso il ghiacciaio iniziò a manifestare un’accelerazione improvvisa passando da una velocità di 18 cm/giorno, con un apertura via via progressiva della frattura, fino ad una velocità di 120 cm/giorno nella notte fra il 28 ed il 29 settembre, che fu interessata da un grosso crollo della massa instabile del ghiacciaio. Grazie a questo sistema di monitoraggio, fin dai primi rilievi di preoccupante accelerazione, con un’Ordinanza fu chiuso l’accesso al sentiero per il Rifugio Boccalatte e alla zona sottostante il Ghiacciaio.
Testo di Elena Cischino
Bibliografia
Dutto F., Godone F., Mortara G. (1991) – L’écroulement du Glacier Superieur de Coolidge – Rév. Géogr. Alpine, 79
Mortara G. – I tempi stanno cambiando – Atti convegno 2008
Bignami L., Ghiacciai in ritirata, ma attenti alle facili conclusioni… – 24/8/2012, Focus
Monitoraggio del ghiacciaio sospeso delle Grandes Jorasses (Val Ferret, Courmayeur – Valle d’Aosta) – http://www.fondazionemontagnasicura.org/
Vai alla prima parte del racconto sul crollo del ghiacciaio Coolidge
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